La maggior parte delle nostre aziende è di piccole dimensioni e dev’essere messa in condizioni di affrontare le sfide del futuro. Occorrono investimenti cospicui in un quadro di decisioni prese dall’intera Ue

La transizione ecologica e la digitalizzazione impongono l’adeguamento del nostro apparato produttivo costituito prevalentemente da numerose piccole e medie imprese. Nel 2020, il 95,2% delle imprese è di piccole dimensioni con un massimo di nove addetti. Ed è lì che s’impiega il 43,2% degli addetti. Le imprese attive nell’industria e nei servizi sono 4,2 milioni di unità e occupano 16,9 milioni di addetti. La dimensione media è di quattro addetti per impresa e risulta più elevata nell’industria (6,3 addetti) che nei servizi (3,4 addetti). La distribuzione del valore aggiunto per area geografica evidenzia che il 37% è prodotto nelle regioni del Nordovest, il 25,5% nel Nordest, il 20,7% al Centro e il 16,8% al Sud e nelle isole.

 

I dati dell’Istat forniscono un quadro complesso che impone una strategia adeguata ad affrontare le sfide imposte al nostro sistema produttivo per la sostituzione delle energie fossili, per il recupero delle materie secondarie, per l’innovazione di ciclo e di prodotto, per la formazione professionale e per la digitalizzazione.

Il Paese ha necessità, in particolare in settori tecnologicamente avanzati, di imprese in grado di reggere le sfide sul mercato attraverso l’incremento della produttività, fattore essenziale anche per l’aumento delle retribuzioni. La questione è particolarmente rilevante tenuto conto dell’evoluzione delle politiche economiche che si stanno sviluppando a livello mondiale per affrontare le conseguenze del rovesciamento dei rapporti sulle energie fossili e per l’evoluzione della tecnologia attraverso l’intelligenza artificiale (Ai) in Cina.

Dovrà, pertanto, essere ammodernata la nostra struttura produttiva e dei servizi, che richiede di essere sostenuta da una programmazione concertata di azioni e strumenti, nonché da risorse finanziarie ben superiori ai 27 miliardi di prestiti e contributi del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, inerenti alla transizione.

Per fare fronte a questa straordinaria quantità di investimenti materiali e immateriali appare necessaria la mobilitazione di una massa critica di risorse finanziarie in un quadro di decisioni definite a livello europeo. La proposta della presidente Meloni, avanzata in occasione dell’incontro con il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, di costituire un fondo sovrano europeo corrisponde a questa necessità.

Nel nostro Paese, data la struttura del tessuto produttivo, i distretti manifatturieri, i piani di filiera e l’economia circolare dovranno essere il punto di riferimento di questo programma di trasformazione. Fondamentale sarà il coinvolgimento del mondo universitario, delle professioni, della finanza, della pubblica amministrazione, dei centri di ricerca, delle associazioni imprenditoriali e di quelle del lavoro. Obiettivo che dovrà essere vissuto da tutti i livelli istituzionali con un fine comune, perché le diverse competenze pubbliche marcino nella stessa direzione.

Un simile programma non può che partire dai territori che hanno tante anime, ma tutte disponibili a migliorare le loro attività per dare continuità a quello che è stato creato con tanto lavoro e ingegno. È dalla realtà operativa che deve partire questa profonda trasformazione avendo presente che la rigenerazione del sistema industriale e dei servizi dovrà essere uniforme su tutto il territorio nazionale, utilizzando una pluralità di strumenti.

Fondamentale sarà anche l’individuazione di idonee modalità capaci di impegnare su questo obiettivo l’interesse del nostro risparmio finanziario.