Energia, migranti. Le idee del governo sui rapporti con i Paesi a Sud del Mediterraneo sono vaghe. Ma, di certo, l’Italia da sola non può rivaleggiare con Usa e Cina

Il recente viaggio in Algeria di Giorgia Meloni è stato presentato come una prima componente del suo “piano Mattei” per l’Africa, piano che la presidente aveva già citato nel suo discorso di richiesta di fiducia lo scorso ottobre. Il tema era quello della immigrazione.

 

Dopo aver parlato di blocchi delle partenze dei barconi e di hot spot per il filtraggio dei migranti, Meloni proseguiva: «E allora mancherà un’ultima cosa da fare, forse la più importante: rimuovere le cause che portano i migranti, soprattutto i più giovani, ad abbandonare la propria terra, le proprie radici culturali, la propria famiglia per cercare una vita migliore…credo che l’Italia debba farsi promotrice di un “piano Mattei” per l’Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell’area sub-sahariana».

 

Insomma, il piano Mattei era presentato come un’elaborazione dell’idea che aiutando i potenziali immigrati a casa loro si sarebbe ridotta la pressione all’immigrazione. Rispetto a questo piano occorre allora porsi tre domande.

 

Prima: cosa sappiamo del piano? Proprio poco.

È più che altro un’espressione per indicare l’intenzione di intensificare i rapporti tra Italia (ed Europa come indicato nel discorso di Meloni) e i Paesi africani, presumibilmente attraverso la nostra fornitura di capitali e know how in cambio di un più favorevole accesso alle materie prime di cui l’Africa è ricca. Il nome di Mattei è stato evocato perché basò la sua strategia di acquisizione di idrocarburi su accordi con i Paesi produttori a condizioni più favorevoli di quelle offerte dalle multinazionali dell’epoca. Al di là di questo non si sa molto.

 

Seconda: un piano per lo sviluppo dell’Africa servirà a frenare i flussi migratori? Improbabile.

I flussi sono causati da un enorme divario nel reddito pro capite, oltre che dalla persistente instabilità politica dei Paesi africani. Il divario resterebbe enorme per anni anche se si accelerasse la crescita economica in Africa. Si noti, in proposito, che l’aumento di flussi migratori negli ultimi due decenni è avvenuto nonostante il forte miglioramento nelle condizioni economiche dell’Africa sub-sahariana. Tra il 1980 e il 2000 il reddito pro capite reale era sceso di quasi l’1% l’anno. Dal 2000 al 2019, invece la crescita è stata positiva, quasi il 2% l’anno. Eppure i flussi migratori sono aumentati. Nel 2021 il reddito pro capite nell’area dell’euro era dieci volte più grande di quello africano. Un’accelerazione della crescita in Africa non avrebbe un effetto rilevante nel chiudere un divario così forte per parecchio tempo.

 

Terza: il piano Mattei è comunque una buona idea?

Sì, perché in termini di strategia economica e politica sarebbe un errore lasciare l’Africa agli Stati Uniti (con cui già doveva lottare Mattei) e al nuovo arrivato, la Cina. Ma per contrastare questi colossi l’Italia deve muoversi insieme all’Europa, sperando che l’Europa possa essere unita nelle strategie ed equa nella condivisione dei benefici. Altrimenti sarà ancora una volta un confronto tra due watussi e ventisette pigmei in lotta tra loro. Il risultato sarebbe scontato.