Grazie alla Destra ha appena ottenuto una nuova proroga. Tanto, tra diffida europea e Consiglio di Stato, a pagare la possibile infrazione saremo tutti noi

Tanto tuonò che piovve. Con sette imprenditori candidati alle ultime elezioni, una squadriglia larga di sostenitori in Parlamento e il titolare del “Papeete” in sella a Strasburgo, non poteva che finire con l’ennesimo rinvio. Così, in barba alla sentenza del Consiglio di Stato che intimava la scadenza di fine 2023 e alla diffida della Commissione europea, le concessioni ai titolari degli stabilimenti balneari slittano fino a dicembre 2024, anzi fino a tutto il 2025 per i Comuni alle prese con ritardi. L’asse FdI-Lega-FI ha segnato con il famigerato Milleproroghe un gol al Senato per le categorie protette. Si tratta di almeno 6.823 stabilimenti e di 103.620 concessioni. Il canone minimo per l’affitto di una spiaggia o un pezzo di litorale, demaniali e quindi pubblici, è stato rialzato a gennaio: da 2.698 a 3.377 euro. Introito per lo Stato attorno a 110 milioni (evasione altissima). Briciole, se il fatturato nazionale è di un miliardo secondo Confcommercio e il giro d’affari di 15 miliardi secondo la Corte dei conti. Per di più il blitz potrebbe costare carissimo per i conti pubblici. Non solo per la pioggia di ricorsi che sta per abbattersi su giudici e Comuni. Ma soprattutto per la procedura di infrazione della legge comunitaria sulla concorrenza, che è già stata aperta per mancata parità di trattamento tra gli operatori e il rischio monopolio. Chiedere al Portogallo che per le stesse ragioni (chi ha concessioni le tramanda di padre in figlio) è finito nel mirino. Il tutto mentre chiediamo a Bruxelles maggiore flessibilità per il Pnrr (la concorrenza ne è un capitolo cruciale) e attendiamo due rate per 36 miliardi quest’anno. Sapore di sale, ma per chi?

 

Meno parlamentari, nessuna stanza vuota
Le aule non sono più «sorde e grigie» ma spaziose. Eppure, le stanze riservate a studio per i parlamentari - ridotti di un terzo - non lasceranno libero nemmeno uno strapuntino. Due ragioni ufficiali: sono aumentati i gruppi (quest’anno 10, erano 9), nonché i segretari di presidenza, e soprattutto deputati e senatori erano «ammassati» e costretti a condividere l’ufficio con un collega. Così, nonostante il Senato conti sui Palazzi Carpegna, Cenci, delle Cinque Lune, degli Spagnoli e Giustiniani, i 100 onorevoli in meno e le commissioni ridotte da 14 a 10, staranno semplicemente più larghi. Lo stesso per gli inquilini di Montecitorio che, pur dopo il taglio di 230 seggi, possono contare sugli uffici al Palazzo dei Gruppi, di San Macuto, Valdina, Theodoli, nonché nell’ex Banco di Napoli. Non era meglio razionalizzare gli spazi e dare un segnale al pubblico, se non all’Erario?

 

Poche leggi molte parole
Il Servizio studi della Camera ha passato ai raggi X i primi tre mesi della legislatura. E il colpo d’occhio parla da solo. A fronte di un record, pochissime leggi approvate, è tutta un’esplosione verbale. La legge di bilancio, composta da 1.017 commi e 105.128 parole, rispetto al testo iniziale è cresciuta di 381 commi (+ 159,91%) e di ben 39.485 parole (+160,15%). Bulimia lessicale analoga per i decreti e le leggi di conversione: composti da 405 commi e 49.659 parole, vale a dire il 38,52% in più dei primi e il 41,33% in più delle seconde rispetto alla versione base. Eccessi dovuti al poco tempo a disposizione o a troppo pochi giuristi?