Il mondo è inondato dalla finzione e dalla ridicolaggine dei comportamenti online. La proposta è di riscoprire la realtà. A partire da quei locali dove s’incontrano uomini e donne fuori dall’impero dei filtri, ormai un habitat da proteggere

Dov’è Oscar Farinetti che ho un’idea imprenditoriale da dar le paghe a Slow Food? Il mio brand si chiama Bar Degrado, ho già gli adesivi e li sogno fuori dai locali al posto di quelli delle guide stellate. Ora vi spiego.

 

Il mondo è malato e facciamo tutti finta di no. Far finta è la malattia. Facciamo così finta che ormai crediamo alle nostre bugie. Confondiamo la realtà con una diretta sugli stramaledetti social, che sono tutto fuorché luoghi di socializzazione. La ridicolaggine dei comportamenti online contagia quegli esseri umani che ormai non lo sanno più frequentare il mondo reale, si annoiano. Se il telefono non ha campo li vedi andare letteralmente in astinenza da like e visualizzazioni. Quando abbiamo chinato la testa sugli smartphone, una decina di anni fa, non l’abbiamo più rialzata e siamo tutti rimasti un po’ a novanta.

 

Nel mentre la malattia cresce: fanno così finta che letteralmente diventano finti. Donne-volpe con chiappe rifatte e due canotti al posto delle labbra vanno a scuola a prendere i figli. La stirpe degli uomini botoxati e coi denti bianco abbagliante ti sfanala col Suv per sorpassarti. Il delirio di onnipotenza impera. Tutto è sessualizzato, essere strafighi è l’unica cosa che conta ed è forse uno degli ultimi strumenti di ascesa sociale.

 

In questo caos mancano delle guide.

L’era degli intellettuali è finita. Pasolini, Arbasino, Calvino, Bene, Eco, chi c’è oggi come loro? Accendete la tv la sera e guardate i talk, ecco la risposta. Il vuoto. L’intellighènzia dei paginoni culturali italiani, invece che spiegarvi il mondo, si dedica alle celebrities e ve la mena col moralismo. Non è “artistico” se non è depresso o non parla di drammi personali, catastrofi, minoranze, coming out e depressioni. I romanzi che escono sono tutti pieni di questa roba, nessuno scrive perché si diverte. È una messa di valori indotti, infatti il popolo diserta la lettura e snobba la cultura.

 

Eccoci quindi ai miei bar. «Io vivo un metro più in là, da quel che tu chiami realtà», il vecchio ritornello di Grignani è il mio mantra di questo periodo. Ho una Panda del 1999 color verde bottiglia e ho messo sul parabrezza un galleggiante da pescatori a forma di germano. La chiamo “Panda Quack” e con lei batto le statali in cerca di luoghi sinceri. Bar poco social in cui entri e ti squadrano tutti come in un saloon.

 

C’è il Bar della Lorella, ricavato dal piano terra di casa sua, in cui si fuma a serrande chiuse e qualcuno gioca alla PlayStation o alle slot e il bar di Garibaldi, che dice a tutti le previsioni meteo e racconta di quando mise un sacco di cemento nella Simca per non farle perdere aderenza in curva. Uomini con le scarpe antinfortunistiche fanno l’occhio languido alle bariste e coppiette di amanti si incontrano in posti in cui nessuno li conosce. La vita è ancora un romanzo. Da Biella a Bari, l’Italia è piena di bar degrado. Perché tutto è degrado, dal baretto dei poveri alla vita ostentata dai famosi palestrati e tatuati che stanno a petto nudo su Instagram.

 

Lo so che vi piacciono i miei bar, lo so che vorreste venirci, che sarebbe avventuroso. La realtà è talmente esotica per chi non la frequenta che quasi potrei diventare un tour operator del Degrado, ma non cederò. Mi sento come uno che scopre un habitat protetto che ha paura di distruggerlo. Sto preservando gli ultimi, li sto rendendo i primi anche in Terra.