Il grande tema da affrontare è come uscire dalla crisi delle istituzioni. Ma i dem al loro congresso parleranno di tutt’altro

Coazione a ripetere: ogni nuovo leader esordisce da noi con qualche grande idea di riforma istituzionale. Oggi tocca ai disegni presidenzialistici della Destra al governo. Nulla di male (a prescindere dal velleitarismo di progetti di questa natura in assenza di partiti e coalizioni politiche degne di questo nome), se finalmente se ne parlasse in termini di sistema e sulla base di una seria riflessione storica e culturale.

 

Non è serio, infatti, metter mano all’Esecutivo senza trasformare il Parlamento, e meno ancora pretendere di riformare Parlamento e Governo senza modificare coerentemente l’assetto di Regioni e Autonomie locali. Oggi convivono nelle proposte della stessa maggioranza due disegni assolutamente opposti: un’esasperata accentuazione delle tendenze centralistico-decisionistiche assieme a un disegno di puro e semplice rafforzamento finanziario delle Regioni più forti, che nulla ha a che vedere con la riforma dell’istituto regionale, pesante pietra al collo, così come oggi è organizzato, della nostra situazione finanziaria e della nostra macchina burocratico-amministrativa.

 

Ma, prima ancora, sarebbe necessario riflettere sul senso che si vuol dare a un programma di riforma costituzionale. Credo che questo dovrebbe essere uno solo: reinventare la democrazia, che versa in tutta evidenza in uno stato di profonda crisi. È il titolo di un libro denso, importante, di Giuseppe Duso (Reinventare la democrazia, Angeli editore), che meriterebbe la fatica della lettura da parte dei nostri politici e anche dei loro elettori. Reinventare la democrazia potrebbe anche significare ricordarne l’originario significato: demos non è il popolo come nelle retoriche politiche attuali viene inteso, e cioè la “massa di tutti noi”. Popolo è una pluralità di parti e demos è quella parte dei cittadini formata dai meno abbienti, poveri o proprietari soltanto dei mezzi per vivere, della propria forza lavoro.

 

Democrazia è dunque quella forma di governo che è prioritariamente diretta a sostenere questa parte della popolazione, che assume come proprio compito fondamentale condurla a una uguaglianza di opportunità con le parti economicamente, e non solo, più forti. Abbiamo detto “governo”, e non “potere assoluto”; nessuna maggioranza che si eriga a “volontà generale”. Il governo democratico, se vuol durare, svolgerà la sua azione a favore del demos attraverso mediazioni e patti che preservino l’unità della nazione. E in coerenza con questa idea dovrà configurarsi la funzione del partito politico. Parte il partito, come parte è il demos. Senza partiti democratici in questo senso non vi sarà mai governo democratico. Ogni partito “tuttofare” non reinventa la democrazia, ma ne aggrava la crisi.

 

Chiariti questi concetti fondamentali, Duso ci invita a proiettarli su scala europea. È evidente che questa è la sede dove si decideranno le sorti anche delle democrazie dei diversi Paesi. Come su scala nazionale il governo va inteso come accordo tra parti distinte (e distintamente rappresentate, conferendo il massimo rilievo al ruolo delle organizzazioni di sindacato e ai corpi intermedi), così occorre pensare a un governo europeo, sulla base di un patto tra entità politiche già costituite. Sciogliere queste ultime, o pensare semplicemente di indebolirle via via, per costituire un macro-Stato sul modello della vecchia sovranità statuale non è che cattiva utopia. Un governo europeo è necessario, non un Potere statuale europeo. Un governo democratico, capace di realizzare un foedus tra le parti che rappresenta, ma un foedus che mantiene fermo quel fine: sostenere prioritariamente il diritto del demos a condizioni di uguaglianza (che nulla ha a che vedere con un’astratta equity, già criticata da Marx nel Programma di Gotha!). Democrazia e federalismo si accordano in questa prospettiva.

 

Un partito sedicente democratico sta celebrando da noi il suo congresso. Che bello se parlasse di queste cose, se aprisse i suoi lavori discutendo del bel libro di Duso! Ma sono masturbazioni intellettuali, vero? Parliamo “concretamente” se è meglio far ritorno a Renzi o allearsi a Conte, o magari di chi ha più immagine tra la Schlein e il suo presidente di Regione, ultima gloriosa roccaforte del loro partito.