Riformare le vecchie formazioni è impossibile e ogni tentativo è miseramente fallito. isogna immaginare un ritorno al futuro

La crisi della politica, della cultura e delle istituzioni è esplosa fragorosamente e la società italiana non può farsi schiacciare dalle macerie. Finalmente i sondaggi tacciono, con la loro presunzione di determinare o condizionare i consensi, e può farsi strada un ragionamento sul futuro, qualunque sia il risultato delle elezioni.

 

Bruno Manfellotto su L’Espresso del 4 settembre ha compiuto un’analisi impietosa sulla vita dei partiti ridotti a oligarchie e auspica il ritorno ai “partiti forti” per salvare la democrazia. Obiettivo, però, difficile perché quel tipo di organizzazione si è dissolta con la fine della Prima repubblica, contestualmente alla caduta delle ideologie e alle trasformazioni delle classi sociali. Impossibile tornare indietro in assenza delle condizioni strutturali, semmai bisogna immaginare un ritorno al futuro.

 

Da dove partire? La Costituzione prevede che i cittadini possono aspirare a determinare la politica nazionale attraverso la partecipazione libera in partiti ma, purtroppo, tutte le proposte di regolazione della vita interna e dei diritti degli associati sono state trascurate dal Parlamento. La credibilità di Camera e Senato è scemata progressivamente anche a causa di leggi elettorali cucite su misura delle segreterie dei partiti e il taglio del numero dei parlamentari ne accentuerà la scarsa rappresentatività.

 

Lo strapotere del Governo, attraverso una decretazione d’urgenza pervasiva e il ricorso ai voti di fiducia, è un altro elemento di rottura dell’architettura dei pesi e contrappesi.

 

La crisi del referendum determinata anche da scelte politiche della Corte costituzionale ha alimentato la sfiducia e incrinato l’autorevolezza del giudice delle leggi.

 

Eppure, la società italiana non è morta o anestetizzata; piuttosto, ha dovuto trovare spazi di attività senza rapporti con la politica, in una separatezza che può condannare all’impotenza, in una crisi diversa ma che si somma a quella dei partiti che sono determinanti per la democrazia. Una ricostruzione che richiede intelligenza, visione e generosità, per mettere in campo una classe dirigente colta e capace di disegnare scenari futuri. Capace di analisi, di proposte nuove e di una comunicazione con la società e gli elettori non delegata e relegata ai social network. Parliamo del campo della sinistra progressista. Dopo la svolta di Occhetto, Alex Langer offrì la sua candidatura a segretario del nuovo soggetto. Purtroppo, la sua sfida non fu colta e le vicende successive, fino a oggi, del Partito Democratico hanno mostrato l’inanità dei tentativi di assemblaggio di storie diverse. È stata una lenta deriva.

 

Che fare dunque? Idee originali vanno messe sul tavolo. Ne suggerisco qui una, che potrebbe coinvolgere tante energie diffuse. Utilizzare lo strumento dello Statuto del Partito Radicale del 1967 che delineava un modello di organizzazione federale, territoriale e tematica, a esaltare radicamento e specificità, rivisitandolo per gli scopi di oggi. La mia ipotesi è di costruire un partito non di ceto politico che veda presenti, in maniera non subalterna, tanti soggetti forti: dalle associazioni del volontariato a quelle ambientaliste, dai movimenti dei diritti civili alle reti sociali, coinvolgendo i circoli culturali. Creare dunque un cantiere non scontato.

 

Un Partito della Democrazia per il governo dell’altra Italia o per l’alternativa alla Vandea.