In Italia cerca di rassicurare. Poi va dall’estrema destra spagnola a fare liste di nemici da additare al popolo. Ecco la nuova leader del destracentro

l politologi raccomandano opportunamente di non sovrapporre i risultati di consultazioni differenti. Ma nel Paese della campagna elettorale permanente il voto amministrativo di domenica scorsa rappresenta, nondimeno, un termometro di tendenze politiche di carattere nazionale, che vanno oltre le peculiarità delle città dove i (pochi) cittadini sono andati alle urne.

 

E il primo aspetto è precisamente quello dell’astensionismo, che cresce inarrestabile raggiungendo livelli impressionanti, esito di fattori di diversa natura, in cui si mescolano la depoliticizzazione, la sensazione di non incidere sulle decisioni con il proprio voto, l’atomizzazione (e la frustrazione) iperindividualistica (per cui la “presa di parola” sui social e il tuffo nello sciame digitale vengono considerati sempre maggiormente come surrogati della partecipazione) e le preoccupazioni irrisolte per il proprio futuro. A partire dal contesto economico, la questione più pressante e la fonte di inquietudine più rilevante per i cittadini, insieme alla sensazione di impotenza di fronte alle grandi (e tragiche) sfide globali (dalla guerra di Putin al cambiamento climatico, generatore della cosiddetta «eco-ansia»). E, così, social (media) pieni e urne vuote.

 

In questo scenario, accanto ai fenomeni politici interpretabili, per l’appunto, in chiave più generale – la conclusione rovinosa della spinta propulsiva del salvinismo, la dissoluzione de facto del Movimento 5 Stelle (o «Movimento 5 Sparizioni»), il rilancio del Pd e il segnale di vitalità di un potenziale polo centrista e civico – crescono ulteriormente le difficoltà dell’esecutivo guidato da Mario Draghi. Su cui proprio i partiti di matrice neopopulista “di governo” (ma anche di lotta…) hanno istantaneamente alzato il tiro, fino a minacciare una crisi, evocando – come ha fatto Giuseppe Conte – i malumori «dei cittadini».

 

Il presidente del Consiglio si staglia quale punto di riferimento e oggetto del desiderio – irrealizzato – di un cantiere centrista e riformista effervescente, ma che non trova la quadra né l’unità (e, soprattutto, non possiede un leader in grado di mettere tutti d’accordo, vecchia storia di questo segmento del mercato elettorale), con la prospettiva di rimanere un “centrino”. Così come il Partito democratico fatica molto, al di là della propria buona performance, a individuare la “colla” per tenere assieme un «campo largo» e non ristretto pesantemente dal continuo (e irreversibile) ridimensionamento grillino. Anche da questo stato di cose deriva – per citare il suo maestro Federico Caffè – la «solitudine del riformista» che colpisce Draghi l’europeo, il quale cerca di contrastare la crisi sociale secondo una logica di tipo economico, e avrebbe bisogno di uno scudo da parte dei partiti e non certo di una guerriglia parlamentare che cresce di intensità giorno dopo giorno.

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Anche perché, nel frattempo, continua la corsa di Giorgia “bifronte” Meloni: atlantista in patria e, all’estero, priva di remore nel vellicare il neofranchismo di Vox. Il suo discorso al raduno dell’ultradestra spagnola, a sostegno della candidata alla presidenza dell’Andalusia Macarena Olona, è stato un campionario di messaggi reazionari e una lista di nemici da additare al “popolo”. Meloni appare, decisamente, la politica da battere nelle urne anche per i suoi competitor alla guida della coalizione di destracentro (in primis, naturalmente l’appannato Salvini, malfermo capo di una Lega che torna a essere un partito macroregionale). Il punto è che, nel perdurare dell’ambiguità su alcuni temi fondamentali (a cominciare dal fascismo) e nell’inseguimento di varie forme di iperpopulismo, più che di una conventio ad excludendum nei confronti di Fratelli d’Italia – che viene già invocata in termini vittimistici – si deve parlare di una normalizzazione perennemente (e deliberatamente) rimandata.