Non è possibile pensare alle questioni ecologiche se non in termini globali. E l’Occidente deve mostrarsi pronto ad aiutare subito i Paesi più poveri

Esistono diritti “naturali”? Il diritto è sempre una costruzione artificiale. Tuttavia noi vorremmo che questa costruzione si dimostrasse conforme alla “natura” del nostro essere, e cioè fosse “umana”. I “diritti umani” presuppongono, dunque, il conoscere ciò che caratterizza innegabilmente l’“essere umani”. Possiamo definirlo? In senso lato sì: noi siamo quella specie animale che è dotata di logos, capace cioè di parlare, di ragionare, e di credere, almeno, libero il proprio agire.

 

I “diritti umani” stabiliscono che i membri di questa specie non possono perciò essere trattati da animali senza logos, alogoi, costretti a obbedienza passiva, o da schiavi. Questo è però semplicemente il fondamento “naturalistico” dei “diritti umani”. Da qui in poi tutto viene a essere artificiale. I diritti hanno una storia, si evolvono, danno vita a ordinamenti giuridici sempre più complessi. Il sistema di diritti che ha elaborato l’Occidente può affermarsi globalmente? È quello di cui parla anche la nostra Costituzione.

 

Poniamo la domanda in modo più drastico: l’Occidente vuole davvero operare perché il sistema di diritti che appare oggi elemento essenziale della sua cultura diventi universale? Lo dovrebbe, poiché quel sistema nasce universale nella sua essenza. E ciò significa trans-nazionale, trans-statuale. Se la politica dei Paesi dell’Occidente non si colloca in questa prospettiva, essa semplicemente tradisce i principi che predica. Pretende di affermare come principi-guida, egemoni, per la vita di tutti i popoli ciò che per prima rende, e forse sa, irrealizzabile.

 

Vivere in un ambiente sano, non respirare veleni è un “diritto umano”? Lo è diventato, certamente. Un diritto fondamentale per la nostra “civitas”, un “diritto civile”. Ma non può affermarsi che su scala globale. Può esservi un diritto alla scuola o alla cura in una parte del mondo, anche se in tante altre viene calpestato. Ma se un Paese inquina, il suo prossimo non dispone di vaccini per difendersi. In questo campo nessuno è immune. Non si tratta della salvezza del pianeta, della galassia, del cosmo, come una certa retorica ecologista sembra a volte suggerire. Il pianeta ci sopravviverà senza grande fatica qualsiasi gesto suicida decidessimo. Le nostre pratiche mettono in discussione soltanto la nostra esistenza, insieme a quella di qualche altro vivente. Ma, ben prima, mettono in drammatica evidenza la contraddizione che ho già indicato: i “diritti umani” costituiscono una grandiosa costruzione intellettuale che può reggersi soltanto se affermata e praticata nel senso della sua universalità. Dettato della retta ragione, conforme alla nostra natura razionale, dunque, per dirla con Grozio, è che ogni uomo goda di istruzione e di cura, che ogni uomo possa vivere libero - e si è liberi soltanto quando il bisogno non opprime, non soffoca -, e infine anche in una biosfera respirabile.

 

Come procedere secondo tale retta ragione? Vi è una sola strada: conferire ai Paesi che oggi neppure lontanamente dispongono di mezzi economici e tecnologici adeguati tutte le risorse necessarie per avviare la riconversione eco-sostenibile dei propri sistemi. Un piano di aiuti autentico, non un impegno vago da comunicato finale di un vertice. Fino a quando una tale decisione non verrà realmente presa dall’insieme dei Paesi del democratico Occidente, e i loro sforzi si limiteranno (e quanto limitati ancora!) alla revisione dei propri interni piani energetici, la crisi ambientale si aggraverà fino a imprevedibili esiti.

 

Qui si rivela ancora una volta la contraddizione che caratterizza la fase storica in cui viviamo: se principi che sono “naturalmente” globali non si traducono in decisioni e norme positivamente assunte non potranno trovare attuazione, resteranno pure idee. Se non esiste una Autorità in grado di tradurli in diritto positivo e di sanzionare chi lo trasgredisce, la loro efficacia non sarà molto diversa da quella di una predica. Un Tribunale internazionale dell’ambiente ci vorrebbe, sulla base di un vincolante trattato tra i diversi Stati. Ma questo a sua volta presuppone un massiccio piano di aiuti ai Paesi che non possono con le loro forze affrontare una radicale riconversione del proprio modello di sviluppo. Per il momento sembra però che spese per armi e guerre costituiscano la nostra priorità.