“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, recita la Costituzione. Questa possibilità deve essere garantita

Nell’arco di tempo intercorso dal risultato delle elezioni all’insediamento del nuovo governo, una delle pratiche più diffuse è stato il cosiddetto totoministri. Nel lungo elenco dei ministeri non compariva quasi mai quello della Pubblica istruzione. Non c’è da stupirsene: la scuola è stata, negli ultimi decenni, praticamente invisibile nell’agenda politica e, quand’anche abbia goduto di una certa attenzione, le conseguenze sono state disastrose.

 

Una delle più recenti innovazioni è stata la costosissima informatizzazione delle supplenze. Esperimento riuscito? Stando alle dichiarazioni del ministro uscente, è stato un successo: tutti i docenti erano in cattedra dal primo settembre. Gli insegnanti precari la pensano diversamente: numerosissimi gli aventi diritto con punteggi alti e titoli aggiuntivi – in ogni classe di concorso, comprese le graduatorie sul sostegno - scavalcati in graduatoria da candidati con un punteggio inferiore; i vincitori del recente concorso ordinario che, in alcune regioni, non sono stati immessi in ruolo e si sono visti costretti ad accettare supplenze per un’altra annualità; i dirigenti scolastici che hanno iniziato a convocare da graduatorie di istituto o a pescare dalle Mad (acronimo per Messa a disposizione) per tappare buchi che somigliano a voragini e che rischiano di sottrarre tempo prezioso alla didattica.

 

Senza addentrarci sul danno economico che questi errori causano all’affollatissima categoria dei docenti, senza nemmeno sottolineare il meccanismo farraginoso che ostacola la stabilizzazione dei precari storici, ci sia concesso di avanzare qualche legittimo dubbio sull’effettivo, assoluto successo di questo sistema che si proponeva di essere risolutivo. Del resto, non è mai accaduto che negli Uffici scolastici regionali – soprattutto quelli delle grandi città – non si siano verificati errori: la gran mole di lavoro da gestire ha molto influito sull’accuratezza. Fin qui il cahier de doléances che entra nel merito del sistema scolastico dal punto di vista organizzativo. Ciò nonostante, con i suoi difetti e le sue pecche strutturali, la scuola è – e resta, grazie ai docenti e agli studenti – teatro di quel nobilissimo atto politico che è l’insegnamento. Da qualche giorno, tuttavia, sia chi insegna sia chi impara si è ritrovato, a percorrere non solo la strada dell’istruzione ma anche del merito.

 

Sono due gli articoli della nostra Costituzione che disegnano le linee guida della scuola pubblica con particolare attenzione nei confronti dei discenti. L’articolo 3 recita: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». L’articolo 34 precisa: «La scuola è aperta a tutti. […] I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».

 

Se, dunque, la nostra Costituzione già contempla il merito e le capacità, di cosa si parla quando si introduce il concetto di merito? Qual è la sua portata (o la sua deriva) semantica?

 

Secondo il nuovo governo, la scuola progressista ha fallito, si è appiattita al ribasso: «La scuola senza qualità, tutto sommato, piace a molti, probabilmente alla maggioranza. Ma, nello stesso tempo, esiste una minoranza – tutt’altro che esigua – che vorrebbe studi più seri, più profondi, più impegnativi. E desidererebbe che la scuola tornasse a svolgere innanzitutto la sua funzione classica, di trasmissione del patrimonio culturale».

 

In Italia, le ragazze e i ragazzi stranieri che siedono tra i banchi delle scuole sono di origini diverse: le comunità più rappresentate sono, in ordine decrescente, afrodiscendenti oppure giovani provenienti da Paesi del continente africano e di madrelingua diversa da quella italiana; asiatici – anche in questo caso non tutti italofoni - e sudamericani. Gran parte di loro frequenta istituti tecnici o professionali, situati generalmente nelle periferie delle grandi città o in provincia. Gli insegnanti che entrano in queste classi, ogni giorno, sanno perfettamente che cosa significhi fare lezione a una maggioranza di studenti che non è di madrelingua italiana.

 

Di contro, i licei blasonati, quelli dove si trasmette il patrimonio culturale, sono quasi tutti posizionati nei quartieri ricchi o al centro delle grandi città. Certo, ci sono studenti stranieri anche nelle scuole più prestigiose, ma sono in netta minoranza. Per le ragazze e i ragazzi che frequentano i licei classici, scientifici, linguistici con nomi altisonanti sarà più semplice raggiungere i propri obiettivi grazie al merito. Se, poniamo, una studentessa ginnasiale prende lezioni di inglese fin da quando era bambina, avrà tutte le chance di assicurarsi un voto alto nella materia. Se, poniamo, una studentessa musulmana iscritta in un istituto professionale, da poco trasferita in Italia, che non parla altra lingua che l’urdu e che non può permettersi una professoressa privata, viene interrogata, forse farà fatica a meritare una sufficienza.

 

Forse, però, anche gli studenti che, durante l’alternanza scuola-lavoro, perdono la vita avrebbero meritato di vivere. Dunque, torniamo al nucleo della questione: forse merito è sinonimo di privilegio? La scuola progressista che secondo alcuni ha fallito si avvale di una pletora di strumenti dispensativi e compensativi per portare avanti tutte e tutti e non lasciare indietro nessuno. Chiunque insegni sa benissimo quanto sia importante un rinforzo positivo in certi momenti: il che non equivale ad appoggiare la deriva di una scuola al ribasso, bensì a riportare al centro della vita sociale la comunità scolastica (e dunque politica) e le persone che la compongono. È complicato? Sì. È faticoso? Molto. È un dovere civico? Certo. Piaccia o no.

 

Se le condizioni di partenza non sono le stesse per tutti, dobbiamo fare in modo che lo siano almeno le possibilità. Le storie emozionanti secondo cui chi parte sfavorito stravolge i pronostici e raggiunge posti di prestigio e potere non devono essere appannaggio esclusivo della politica.