La cultura dell’area aveva alla base la contestazione del potere dominante. Se il Pd non riparte da qui il suo destino è segnato

Si è così formato il primo governo italiano presieduto da una donna, e da una giovane donna. E questo è un fatto storico, piaccia o no. Meditino coloro che di successi simili non sono stati capaci. Per ora il “sovranismo” ha partorito un forte incoraggiamento per la dieta mediterranea e il “made in Italy”, e un vetero-paternalismo il solito, retorico appello al Dovere e al Merito. I grandi rischi per la nostra democrazia non mi sembrano proprio venire da questa destra. Ne vedo piuttosto per questa destra stessa quando dovrà affrontare debito e tasse. Se poi volesse metter mano a diritti ormai acquisiti dal comun sentire salterebbe per aria seduta stante. Ma non mi pare che il/la Presidente sia persona poco perspicace.

 

Mi appassionerebbe maggiormente sapere che cosa intendano fare le opposizioni. Attendere lungo il fiume il cadavere dell’avversario, magari nell’attesa che ci pensino “potenze alleate”? O piuttosto su alcuni problemi-chiave nutrono la virtuosa intenzione di tentare un accordo? Quali siano è noto a tutti: la difesa dei redditi più bassi soffocati nella morsa di inflazione e recessione, senza dover incidere ulteriormente sul debito; quindi una manovra fiscale fortemente redistributiva; una profonda revisione dei meccanismi del reddito di cittadinanza, proprio allo scopo di difenderlo dagli attacchi che certamente subirà da parte del governo; una politica attiva dell’immigrazione, se vogliamo salvare migliaia e migliaia di imprese e settori della nostra economia. E infine almeno un minimo comun denominatore in politica estera: la coscienza del tremendo pericolo che si corre se continua la guerra e se questa finisce col diventare a tutti gli effetti una guerra tra Nato e Russia. Le attuali opposizioni avrebbero il dovere di formare una opposizione con proposte concrete su tutti questi temi; ma come potrebbero riuscirvi senza “federatore” tra loro? Anzi, esse sono apparse dopo la batosta elettorale ancora più divise di prima. E il dramma è che queste divisioni non hanno motivi tattici, ma sono l’effetto di una crisi culturale e politica che le affligge tutte e viene da molto lontano.

 

Essa è parte di quella crisi che ha colpito tutte le forze della sinistra europea dopo la caduta del Muro. Una rincorsa spesso affannosa a mascherare con un po’ di pensiero liberale il liberismo neo-conservatore proveniente dal Campidoglio americano. Con conseguenti “liberalizzazioni” giunte fino al limite di “metter sul mercato” beni comuni, di confondere dappertutto res publica e res privata. L’arrendersi agli effetti della globalizzazione in termini di aumento delle disuguaglianze, della “distanza sociale”, illudendosi di poterli correggere con qualche placebo. Nessuna efficace azione nell’ambito dell’Unione europea perché valessero i pilastri della solidarietà e sussidiarietà accanto, almeno, al dogma della stabilità - e ciò fino all’emergenza Covid. È stata perduta la sfida di una sinistra europea all’altezza della nuova epoca inaugurata con la fine della terza guerra mondiale. Le sue macerie un po’ in tutti i paesi europei sono lì a dimostrarlo.

 

Ma sfide di questo genere si perdono sempre quando si smarrisce il “filo buono” del proprio passato. Quel passato era anche pensiero critico, capacità di interpretare le contraddizioni del sistema economico e sociale del proprio tempo, prassi volta a liberare classi e individui da ogni subalternità politica alle “leggi” che questo sistema vorrebbe imporre quasi come naturali. All’assenza di questo sforzo critico si è rimediato, anche durante la campagna elettorale, e oggi ancora, col mantra patetico del pericolo fascista.

 

Eppure già quel Pasolini che qualche leader o ex leader della sinistra nostrana finge tanto di amare diceva mezzo secolo fa che il fascismo attuale non è quello archeologico del saluto romano e della camicia nera, ma quello della normalità omologante, del neo-capitalismo senza patrie, del feticismo consumistico. Un pericolo, dunque, ammesso lo si ritenga tale, che non ha più alcun senso chiamare fascismo. È il dominio concertato delle grandi potenze tecnico-economiche per la gestione della perenne emergenza prodotta dalla loro stessa logica di indefinito sviluppo. I totalitarismi novecenteschi non servono più.

 

La domanda di sicurezza, ansiosa di soffocare ogni parola che ci suoni straniera, che ci sembri mettere a rischio la nostra casa, viene fatta emergere con prepotenza dall’individuo stesso, nella sua perfetta solitudine fatta di infinite connessioni. Lo sgretolamento della sinistra europea deriva logicamente dall’impotenza critica nei confronti di questo stato di cose, dall’ignorare perfino la domanda sulla sua possibile trasformazione. Se il Pd non porrà questa domanda alla base del suo confronto congressuale, questo non segnerà che l’atto finale della storia della sinistra italiana in quanto forza politica.