L’intervento
“Una donna” a caso non basta
Troppo spesso il termine è diventato un’entità che cancella l’individuo. Una riduzione che diventa una forma di pornografia, un’etichetta merceologica
Che non basti essere una donna per avere qualcosa in comune con un’altra donna è evidente a tutte le donne e, credo, anche al resto del mondo (infatti, di madre, ognuno ha la sua). Se si segue – consiglio caldamente – il profilo Instagram “ladonnaacaso” si capisce bene perché e come “donna”, più specificamente “una donna”, sia diventata un’entità che cancella l’individuo. E viene utilizzata, volta per volta, come spauracchio, foglia di fico o belletto per mostrare a noi stessi che il mondo è ugualmente accogliente per gli uomini e per le donne. E dimostrare che le battaglie femministe sono battaglie di retroguardia perché il mondo è già simmetrico rispetto al genere.
Cosa che, ciascuna di noi sa, e se non sa, intuisce, e se né sa né intuisce, lo imparerà, è falsa.
Una donna nello spazio, una donna alla direzione di una agenzia di stampa, una donna premier. La donna a caso come, appunto, sul profilo Instagram. Il problema logico di assommare sotto una sola etichetta individui differenti per cultura, geografia, classe sociale e credo politico è che l’etichetta diventa l’unica cosa che importa. Così, per esempio, di Giorgia Meloni, leader del partito che ha raccolto il maggior numero di consensi nelle scorse politiche, segnaliamo prima di tutto che è una donna. Finalmente l’Italia avrà una donna premier.
Questa riduzione, a rifletterci bene, è una forma di pornografia. In senso proprio, perché è la riduzione di un essere umano ai suoi genitali, e in senso lato perché è l’ostensione ripetitiva di un particolare. La ripetizione, che segue un certo ritmo, più o meno concitato, è caratteristica della pornografia.
Ciò accade in un mondo che possiamo vagamente definire Occidente nel quale “donna” è una caratteristica merceologica. Le etichette, d’altronde, sono proprie delle merci. Sulle etichette si possono leggere composizioni, provenienze, data di confezionamento e data di scadenza. Donna, oggi, da noi, è una etichetta avvenente, un buon brand. Ci vogliono le donne nei ruoli dirigenziali come il basilico nella pasta col pomodoro, non è necessario, ma il piatto si presenta meglio, e adesso il gusto è questo.
In un mondo che possiamo vagamente definire non-Occidente, essere donna, può costare, come è successo ad Hadis Najafi, sei colpi di proiettile tra il collo e il volto, perché ti stai raccogliendo i capelli sulla testa. Stai protestando legandoti i capelli perché Mahsa Amini, anni 22, è stata arrestata e uccisa qualche giorno prima perché indossava il velo in un modo ritenuto non conforme. Ti leghi i capelli e ti sparano e il coro dell’Adelchi di Manzoni canta per la morte di Ermengarda (atto IV, scena I) “Sparsa le trecce morbide/Sull’affannoso petto,/Lenta le palme, e rorida/Di morte il bianco aspetto,/Giace la pia, col tremolo/Sguardo cercando il ciel.”, e noi che abbiamo fatto le scuole dell’obbligo, come si diceva una volta, cantiamo appresso al coro. Donna, oggi in Iran, non è un buon brand, non è una etichetta avvenente.
Nell’Occidente dove donna è una buona etichetta, Giorgia Meloni può consentirsi di postare un breve video in cui regge un melone per mano pronunciando stentorea la frase «E ho detto tutto». Nel non-Occidente dove una giovane donna viene uccisa perché si raccoglie i capelli, altre donne giovani o meno giovani postano brevi video o immagini dove si tagliano i capelli.
La scorsa settimana ho scritto su “La Repubblica” che i social possono aiutarci a ricordare che la lotta, la protesta, la rivoluzione hanno una grammatica scandita da gesti rituali. Tamburi e trombe prima e durante la battaglia, slogan dei cortei di studenti, lavoratori e sindacati. Ci penso, e poi penso ai TikTok delle donne iraniane. Ci somigliano, sono la stessa cosa, hanno la stessa funzione: ricostituire una grammatica di lotta. I meloni tenuti in mano invece no, non hanno alcuna funzione. Gesti privi di senso e funzione da parte di chi si è candidato a guidare un Paese.