La storia di una ragazza di New York che attraverso la letteratura trova la forza per emanciparsi dalla comunità-setta a cui appartiene

I lieto fine portano con sé ferite profonde, come è accaduto a Deborah Feldman che in “Ex ortodossa” - pubblicato da Abendstern, piccola e coraggiosa casa editrice svizzera - racconta come si cresce e come si vive in una comunità religiosa che ha le caratteristiche di una setta, che pare essere aliena e immune non solo alle abitudini della comunità laica che la circonda, ma - a quanto pare - alle consuetudini, al buon senso e addirittura alle leggi. E così accade che oggi, proprio oggi, nel cuore pulsante di New York, ci siano donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini che vivono una vita parallela, una vita di privazioni, di segregazione e discriminazione, senza averlo scelto, ma non avendo o non vedendo alternativa.

Cosa accade, però, quando l’alternativa inizi a scorgerla? Ma soprattutto, in una comunità chiusa al mondo esterno, come si può davvero comprendere che esiste un’altra vita possibile, anzi, miriadi di vite possibili?

Il miracolo per Deborah Feldman è in un gesto semplice, per noi scontato: occhi che si posano su lettere, occhi che leggono parole e poi frasi e poi un intero libro. La lettura come atto rivoluzionario, portatore di libertà ed emancipazione. Siamo talmente abituati ad avere accesso alla lettura che non riusciamo più ad attribuirle il peso che ha, in valore assoluto. Tutto ci porta anzi nella direzione opposta, finanche la scarsa attenzione che per stanchezza, incuria o superficialità, la nostra comunità presta alla scuola e all’università nei mesi drammatici della pandemia e in quelli che verranno. È come se non ci si rendesse davvero conto del danno incommensurabile che la società sta infliggendo a se stessa posticipando la riapertura, aprendo con limitazioni, dimezzando orari e ponendosi obiettivi didattici minimi.

Devoireh nasce tra i chassidici Satmar di Williamsburg, sua madre ha lasciato la comunità senza riuscire a portarla con sé. Suo padre, nato con disabilità intellettiva, non viene curato, viene anzi mortificato e mai gli sarà diagnosticata alcuna patologia per tema che la “tara” possa abbattersi come una sciagura, come un deprezzamento, sugli altri figli, tutti da “piazzare” come vacche.

Il libro, idealmente, è diviso in due parti. La prima è la descrizione fedele della comunità Satmar a Williamsburg e l’angolo visuale è quello di una adolescente; il classico romanzo di formazione: Devoireh/Deborah trova il carburante che le occorre per emanciparsi dalla sua comunità nella lettura clandestina di “Piccole donne”, “Orgoglio e pregiudizio”, “Danny l’eletto” di Chaim Potok, “La lettrice di romanzi d’amore” di Pearl Abraham. Li prende in prestito in biblioteche lontane dal suo quartiere per evitare di essere scoperta, li legge di nascosto, li cela sotto il materasso e grazie a quei libri apprende l’inglese, la lingua che parla il mondo che la circonda, ma non il suo.

Nella prima parte gli occhi di Devoireh/Deborah sono i nostri occhi, ciò che lei vede vediamo noi, ciò che a lei è celato è celato a noi.

Nella seconda parte cambia tutto. Non più gli occhi ma il corpo e non un corpo qualsiasi, ma il corpo della donna, il corpo di una adolescente che non appartiene a lei in nessuna delle parti che lo compongono.

Siamo abituati a pensare che non ci sia nulla di peggio di non avere il dominio sui propri pensieri, ma leggere “Ex ortodossa” mostra chiaramente come la mortificazione fisica - che inizia, e solo inizia, col doversi unire per la vita a un ragazzo mai visto prima e scelto dalla propria famiglia secondo logiche per noi oggi incomprensibili e desuete - diventa un’arma potentissima nelle mani della comunità, un’arma che avvilisce e annichilisce qualsiasi forma di dignità. Il corpo della donna sondato, analizzato nelle sue cavità più intime per certificarne la purezza e messo in piazza, esposto al giudizio della comunità. Un corpo che deve servire solo per ripopolare la comunità decimata dall’Olocausto. Il racconto della vita di Deborah potrebbe sembrare distante, ma non lo è. Non lo è per niente, perché studiare significa emanciparsi e darsi opportunità e questo vale ovunque, così come ovunque sotto attacco c’è sempre il corpo della donna (come dimenticare le incessanti picconate che la legge sull’aborto subisce da 42 anni?) che, chissà perché, continua a essere considerato “patrimonio” della comunità e per questo la comunità si sente sempre in diritto di dire la propria.

Leggete ”Ex ortodossa”, regalatelo, prestatelo, fatelo girare. È un libro prezioso, è un libro utile.