Nel 2018 ci saranno le elezioni politiche e quelle per il rinnovo del Csm. Così politica e giustizia ancora una volta si trovano intrecciate. Mentre l'esplosione del caso Consip è solo l'ultima conseguenza di riforme mai fatte per ragioni di convenienza

Una coincidenza inquietante aleggia sul 2018. L’anno delle elezioni politiche, quando si sceglierà il parlamento del Paese, coinciderà con il rinnovo del Csm, l’organo di autogoverno dei giudici. Due campagne elettorali parallele, due poteri dello Stato che sulla carta sono separati e che, fatalmente, si intrecciano. Imponendo una domanda: perché politica e giustizia sono così legate fra loro anche dopo l’era di Berlusconi? Una prima risposta è celata nel caso Consip, una normale inchiesta divenuta “prodotto derivato” del berlusconismo d’antan, simboleggiato dalla bufera sul presunto golpe - di latta - contro Matteo Renzi e papà Tiziano, roba che fa sorridere il Paese che ancora oggi finge di indagare su Ustica e su Moro.

Sa bene Renzi e sappiamo noi tutti che il problema della giustizia in Italia è un altro. E non riguarda né Consip né gli appalti pubblici che hanno trascinato, a ragione o a torto, il babbo dell’ex premier e una conventicola di toscani amici suoi nella bufera, con la successiva scoperta che in un mucchio di carte senza rilevanza processuale qualcuno (per ragioni da definire) avrebbe sistemato una trappola. E questa trappola sarebbe scattata per un paio di poliziotti “esagitati” o qualche magistrato “smemorato”. Il problema vero è l’effetto che tutto questo produce: rimettere in corsa la politica e il tentativo che la destra fa da anni - e la sinistra comincia a guardare con meno sospetto - di utilizzare il clima generale per una “controriforma della giustizia”, che porterebbe l’Italia indietro. Il rischio non è Consip, dunque, ma che nessuno fermi questa deriva, perché la giustizia è il vero, contorto nodo irrisolto a sinistra del ventennio berlusconiano. Una mancanza grave e dolosa, che oggi si rivolta contro il Paese, quello dove una politica forte avrebbe il dovere di agire subito. Perché non lo fa? Ci sono una ragione politica e una storica. Quella politica è l’effetto prodotto dallo scontro su Consip: il Pd - nel nome di chissà quale disegno eversivo contro se stesso, autore delle nomine da cui partono poi le accuse - finisce per rispolverare gli slogan di Berlusconi, confondendo “privacy” con “impunità”.

È vero che ci sono stati errori. Così come è capitato che alcuni inquirenti abbiano sbagliato in passato, usando male il potere enorme che avevano, ma - se è vero anche che la sinistra non sottomette l’interesse generale a quello del singolo - tali errori non possono diventare la giustificazione morale a una controriforma che riscrive la parola “garantismo” a uso e consumo dei potenti.

Renzi, premier o no, dovrebbe opporsi a questo e rispondere a due banali domande politiche su Consip: chi e perché ha informato papà Tiziano dell’indagine? Perché al vertice della società ha piazzato tal Marroni Luigi, personaggio che ha rapporti con la vita precedente di Renzi nella sua Toscana?
Non rispondere e barricarsi nel complottismo genera il più berlusconiano dei cortocircuiti: non si potrà nemmeno stavolta discutere davvero di giustizia in Parlamento, perché ci sono di mezzo gli affari del Capo.

Arriviamo così alla ragione storica: questo impasse non avviene per colpa di Ultimo o Woodcock (uno dei due pagherà il conto), né dei giornali e delle loro inchieste, ma avviene perché il centrosinistra - per convenienza politica - non ha affrontato il nodo giustizia quando ne aveva la possibilità. Persuaso forse che un Berlusconi sotto scacco fosse la via migliore per indebolirlo. E creando una contaminazione virale anche all’interno del Pd, che oggi somiglia in certe affermazioni ai berluscones dei tempi che furono.

La giustizia, tuttavia, è un Moloch proprio quando la politica è più debole. Per evitare di esserne ostaggio, Renzi e il Pd dovrebbero fare l’opposto di ciò che gli converrebbe sul breve periodo. Promuovere una riforma che affermi il dovere e il potere di indagare e il diritto di sapere cosa fa il Palazzo, rapidamente e nel rispetto della presunzione di innocenza.

Da questa prospettiva, la polemica su Consip appare pretestuosa da qualunque parte la si guardi. Perché l’unico effetto che ha è mescola re ancora di più due ingredienti, politica e giustizia, che sono benefici se tenuti separati quanto nocivi se mischiati. Capaci di generare un’esplosione che apre nuovi spazi di impunità laddove il Paese chiede al contrario severità, rigore e certezze.

Twitter @Tommasocerno