L'ultimo editoriale di Tommaso Cerno da direttore dell'Espresso

Quando tornai all’Espresso, dove avevo passato gli anni più belli della mia vita di cronista, per assumerne la direzione, salutai i lettori sotto questo titolo: “Una navicella in orbita sull’Italia che cambia”. Scrissi che alla domanda “Che linea ha L’Espresso?” non esisteva una risposta possibile, perché la linea è dritta e il mondo no. Scrissi che serviva altro per capire l’abisso e le paure dell’oggi. Ed era compito nostro trovare gli strumenti di indagine culturale e politica per raccontare questo cambiamento, incompiuto, del nostro Paese e del mondo globalizzato.?

Ci trovavamo, e ci troviamo di fronte, a uno shock democratico. Abbiamo visto morire partiti centenari e sciogliersi le ideologie sotto i colpi del populismo e degli errori dei partiti, ma non è ancora possibile scorgere con chiarezza quale direzione vada prendendo il futuro di tutti noi. In questi mesi ci siamo accorti che molte parole avevano perso il loro originale significato. La parola “Occidente” è diventata vaga e non può più essere definita, pur in prima approssimazione, con i concetti di “stato di diritto”, “libertà intellettuali”, “razionalità critica”, “scienza” perché molti popoli che avevano adottato questa cultura, oggi sono spinti dalla crisi economica e dallo scontro sociale a rimetterla in discussione. Imboccando così una scorciatoia che ci porta verso un orrido, verso un buco nero. Ecco perché abbiamo la sensazione che le parole “Libertà” e “Democrazia” non possano più essere date per scontate, come abbiamo fatto per oltre settant’anni dopo la caduta dei regimi del Novecento, persuasi come eravamo che fossero state conquistate dall’uomo per sempre.

L’Espresso ha provato a raccontare questo, negoziando con i fatti, sottoponendoli a un continuo confronto con la nostra natura profonda, con i nostri valori. Per scorgere dentro ciò che avveniva nel mondo dei segnali più forti di quanto la cronaca sembrava mostrarci. E così abbiamo denunciato il rischio che gli Stati Uniti d’America producessero Donald Trump, così come abbiamo per primi avvertito i democratici di tutta Italia che la destra stava tornando, in forma forse più cupa e velleitaria di quanto non fosse stata nel ventennio berlusconiano. Abbiamo cercato la causa di quei toni forti, che da tempo non risuonavano qui da noi, nel ritorno del maschilismo e di una società dei furbi, che proclama l’uguaglianza ma insegue il privilegio. Un privilegio che, come i virus più pericolosi, si è evoluto con le medicine. E non sta più chiuso solo nei palazzi della politica, dove fu scovato proprio dai giornali di inchiesta un decennio fa, sta nell’aria. Come la corruzione, come la mafia. Muta forma e sostanza. Chiede che qualcuno, con il proprio lavoro giornalistico, provi oggi a trovare l’antidoto a tutto questo. Per mostrare all’Italia che il giornalismo non soltanto non è morto, ma è al contrario l’unico antibiotico possibile alla caduta verticale di una società sempre più divisa e disillusa. Privata del sogno di un futuro migliore.

L’abbiamo detto a voce alta, dalla nostra navicella in orbita. E più navigavamo più ci rendevamo conto che a quelle denunce seguivano comportamenti di massa che le rendevano ancora più pericolose. Ci hanno criticati, attaccati, ci hanno etichettato come simpatizzanti di questo o di quel partito, di questo o di quel leader. Eppure i nostri lettori ci hanno chiesto di non badare a quelle parole. Ci hanno chiesto di decollare ogni settimana con la stessa forza. Ci hanno chiesto di andare avanti per la nostra strada. E di questo devo ringraziare ognuno di voi, ogni nostro lettore, nel restituirgli casa sua, perché avete reso l’avventura dell’Espresso appassionata e appassionante. Ringrazio nella stessa misura, mentre lascio la direzione, una redazione che mi ha dato fiducia e amicizia, un bene prezioso di cui sono orgoglioso, i collaboratori, giornalisti e non, tutte le firme che ci hanno aiutato a decifrare il mondo là fuori. E Gedi Gruppo Editoriale, che con il suo sostegno ci ha lasciati sempre liberi di esprimere il giornalismo in cui crediamo: se abbiamo fatto degli errori, dunque, li abbiamo fatti noi, io per primo, ma sempre da soli. E in buona fede.

Posso solo aggiungere che la navicella continuerà a orbitare sopra l’Italia e sopra il mondo che cambiano. Orbiterà saldamente agganciata ai nostri valori fondanti: siamo liberi, laici e fuori dal coro. Orbiterà guidata da un grande giornalista, che è anche un amico, Marco Damilano. Insieme, in questi mesi, abbiamo provato davvero, settimana dopo settimana, a salire su quella navicella spaziale. E lungo questo navigare abbiamo scelto di rimettere lassù, in cima al nostro settimanale, la testata “L’Espresso” così come l’avevano disegnata la prima volta Arrigo Benedetti e Eugenio Scalfari il 2 ottobre 1955. L’abbiamo fatto per provare a replicare oggi quello sforzo di “diversità narrante” che c’era nel Dna di chi inventò questo giornale. E che continuerà ad esserci. Suonando un’altra musica. La nostra musica.

Twitter @Tommasocerno


COMUNICATO DI GEDI GRUPPO EDITORIALE
Tommaso Cerno lascia la direzione dell’Espresso per assumere l’incarico di condirettore di Repubblica. GEDI Gruppo Editoriale gli esprime profonda gratitudine per l’ottimo lavoro svolto, determinante per la crescita di prestigio e successo della testata, riconosciuto punto di riferimento di un giornalismo fortemente caratterizzato, di inchiesta, denuncia e approfondimento. Nuovo direttore dell’Espresso sarà Marco Damilano, giornalista del settimanale dal 2001, vicedirettore da due anni  e uno dei più seguiti e autorevoli commentatori della vita politica italiana. A lui il compito di proseguire nell’azione di rafforzamento di un settimanale che ben conosce, per la sua lunga e proficua esperienza interna.  L’editrice formula a Damilano e a Cerno i migliori auguri di buon lavoro.