Un consiglio alla titolare dello Sviluppo economico: si limiti al minimo indispensabile. Le aziende si aiutano con regole semplici, meno tasse, più concorrenza e persino tagliando gli incentivi
Difficile stare dietro al frenetico attivismo del governo Renzi: tagli alle tasse, Jobs Act, legge elettorale (a maggioranza variabile). A fronte di tale vitalità, per ora è rimasto abbastanza in ombra il nuovo ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi. In effetti il suo compito non è facile: nel nostro paese uno dei mantra di qualsiasi politico, dal consigliere comunale di Manfredonia alla presidente della Camera Boldrini (giuro: grazie alla sua rinascimentale competenza ha concionato anche su questo) è che il paese ha bisogno di una politica industriale.
Che cosa si intenda con tale termine non è chiaro. L’ex ministro Passera nel resoconto della sua attività con il governo Monti ha detto che ha cercato di attuarne una non dirigista, anche se poi non c’è riuscito del tutto, tra piani aeroportuali e mantenimento degli incentivi. Zanonato non si è capito bene cosa abbia fatto, ma ormai è storia.
Allora, con molta umiltà, vorrei suggerire al neo-ministro la direttrice di marcia della sua azione di governo: atarassia.
Mi spiego: se prendiamo
il caso Electrolux, abbiamo imparato come un problema sia quello del costo del lavoro. Se al posto di ridurre il salario netto degli operai a 800 euro si portasse il famoso cuneo fiscale a livello britannico (da 45 per cento a 25, per intenderci) lo stipendio dei lavoratori sarebbe rimasto 1400 €, le richieste Elettrolux accontentate e in più si creerebbero i noti effetti positivi sui consumi. Oppure prendiamo la tassazione sui profitti di impresa, che un recente studio Pwc ha calcolato essere in media il 69 per cento in Italia, il 65 per cento in Francia (altro paese in declino), il 47 in Germania e il 35 in Gran Bretagna. Dopo l’introduzione dell’Imu la situazione in Italia è sicuramente peggiorata e questo non è certo un incentivo all’investimento.
Inoltre, un altro freno alle imprese è costituito dalla rigidità del mercato del lavoro e l’incertezza della normativa che lo riguarda. Il caso Fiat è emblematico: la società ha preteso accordi stringenti coi sindacati e in deroga agli ingessati accordi collettivi. La guerra di Fiom e le sentenze dei giudici non sono stati segnali incoraggianti per l’impresa. Urge riforma.
Una politica industriale seria, poi, deve affrontare il nodo della efficienza e della produttività del settore pubblico, misurando quantità e qualità dei servizi forniti e incentivando (o sanzionando) adeguatamente il personale.
Se il governo Renzi riuscirà a dar seguito ai suoi annunci in queste aree, avrà compiuto un passo in avanti senza bisogno di scomodare il Ministro dello Sviluppo.
Ci sono dei settori però in cui il Ministero può fare qualcosa di positivo. Si tratta, tuttavia, sempre di levare, non di aggiungere. Infatti, la prima mossa azzeccata sarebbe quella di decurtare i sussidi. Ormai tra spending review di Cottarelli e piano Giavazzi c’è solo l’imbarazzo della scelta su dove tagliare i finanziamenti pubblici alle imprese. Si può migliorare anche la notifica degli aiuti di Stato all’Unione europea che poi ne giudica la legittimità. Com’è noto non siamo bravissimi in questo, tant’è che il recente studio dell’economista Arrigo, che ha evidenziato come le sovvenzioni statali date a Ferrovie negli ultimi 22 anni equivalgono, attualizzate, a 388 miliardi di euro (il 24 per cento del Pil italiano!), ha altresì scoperto che nel 2008, 2011 e 2012 il governo non ha fornito o lo ha fatto in modo incompleto i dati sui fondi versati a FS.
Un'altra azione meritevole consisterebbe nell’abbattere le barriere all’ingresso dei mercati, scardinando rendite di posizione nutrite dal rapporto con il potere politico. Basterebbe incoraggiare l’Autorità Garante della Concorrenza a riprendere la preparazione della legge annuale sulla concorrenza in cui vengono indicate le principali storture del mercato e poi darsi da fare per attuare i suggerimenti.
Insomma, il neo ministro non deve inventarsi cose mirabolanti: solleciti i colleghi di governo a mantenere le promesse, incoraggi la concorrenza e smetta di drogare il mercato. Facile e nemmeno troppo faticoso.
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