Il nuovo corso ?del Pd sembrava mettersi alle spalle quella vecchia contrapposizione un po’ moralista. Ma il premier e il ministro Gentiloni invece la adottano ancora. E confondono chi aveva creduto nella novità
Qualche anno fa, grazie all’ironia di Giorgio Gaber, ci si era illusi che nessuno avrebbe più avuto il coraggio di cercare di definire con una faccia seria cosa fosse di destra e cosa di sinistra, il the o il caffè, il bagno o la doccia. È vero che ferveva un certo dibattito intellettuale alimentato dal saggio di Norberto Bobbio “Destra e Sinistra”, ma la popolazione non se ne curava e quasi tutti i recensori trovavano delle critiche da fare alla bipartizione utilizzata dal filosofo torinese e che poggiava sull’antitesi uguaglianza/diseguaglianza. Certo, la “diversità” morale è andata di moda per molti anni ancora, tant’è che l’anatema scagliato da Landini contro Renzi è stato quello di non attrarre il voto degli “onesti”, ma era una questione tutta italiana: Tangentopoli, Berlusconi, per arrivare all’indimenticato consigliere regionale Batman. Renzi stesso, in un commento all’edizione del 2014 del libro di Bobbio, aveva affermato che la dicotomia eguali/diseguali non era più così nitida e quindi, implicitamente, nemmeno lo era quella tra destra e sinistra. Innovazione/conservazione, aperto/chiuso, movimento/stagnazione: il premier proponeva una panoplia di paradigmi che sarà sembrata ai più tradizionalisti come una confusa quadriglia, oggettivamente reazionaria.
La "destra" è in effetti un problema del Belpaese, poiché quasi nessuno, per quanto in uggia abbia la “sinistra”, vuole appartenervi: ovvio retaggio della tragica esperienza fascista. Al contrario, “sinistra” è una parola che per certe fasce non maggioritarie della popolazione, ma consistenti e culturalmente forti, ha un potere evocativo per il quale le politiche più diverse per acquisire legittimità devono poter essere connotate come di “sinistra”.
Orbene, la nuova classe dirigente del Pd sembrava immune, o per lo meno non troppo subalterna, a questa riverenza, ma qualcosa deve essere successo. Il neo ministro degli Esteri Gentiloni, persona non sprovveduta, ha rilasciato infatti una lunga intervista al “Foglio” in cui ha detto cose abbastanza sensate ma con un paio di perle favolose. La prima è che l’“interventismo umanitario” è di “sinistra”, con ciò relegando nel campo… della destra (?) la tradizione neutralista e pacifista che dal Pietro Nenni del 1915 in avanti ha caratterizzato la sinistra italiana. Inoltre che vuol dire l’affermazione? Negare da parte di laburisti, liberali e dissidenti conservatori l’autorizzazione richiesta da Cameron al Parlamento inglese per intervenire militarmente in Siria è stato “di destra”? Pure il libero scambio è “di sinistra” per Gentiloni. Eppure sono soprattutto sindacati, partiti e organizzazioni “progressiste” che vi si oppongono. I repubblicani Boehner e McConnell saranno estasiati di essere stati arruolati nella sinistra da un ministro italiano.
La parole più preoccupanti vengono però dal premier stesso il quale, in una lunga lettera a “Repubblica”, rivendica il suo essere di sinistra, ma con concessioni al rito della subalternità che non fanno ben sperare. Se difendere i diritti dei lavoratori vuol dire «estenderli a chi ancora non li ha», siccome nel linguaggio corrente tra i diritti ci sono quelli che caratterizzano la sclerosi del mercato del lavoro (ed è più giusto chiamarli “privilegi”), per il gusto dell’esercizio retorico si rischia di generare confusione. Se poi si afferma che «una libertà ingiusta, una libertà per pochi, è la ragione sociale della destra», si ricasca nel tranello della superiorità morale della sinistra: gli altri sono degli “ingiusti”. Ora, la destra italiana non è riuscita (per mancanza di volontà e cultura, conflitti di interessi e presenze populiste) a essere liberale, ma che senso ha caratterizzarla così? Quando infine si scrive che o l’Italia la cambia la sinistra o i mercati, si fa un grave errore concettuale: i “mercati”, attraverso chi investe i propri soldi (compresa la casalinga di Voghera), giudicano le politiche, non le fanno.
Insomma, ci sono molte distinzioni politico-filosofiche legittime: liberali/socialisti, libertari/tradizionalisti, individualisti/collettivisti. Quella tra destra e sinistra è ormai fuorviante, soprattutto quando riproduce vecchi tic solo italiani in un mondo che invece va molto veloce.
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