A Buenos Aires sorgerà il più grande impianto del Sud America. Un investimento da 300 milioni di dollari. Mentre la storica Bombonera resterà come museo e per la squadra femminile

Si sa che i genovesi sono parchi per natura, ma c’è una comunità distaccata di liguri che non bada a spese. Si tratta della terza squadra calcistica più titolata al mondo, il Boca Juniors, quella che porta sulle maglie la scritta “xeneizes” per rammentare a tutti le proprie origini. La nuova cordata che punta alla dirigenza della società ha annunciato la costruzione del più grande stadio del Sud America, senza rinunciare alla storica Bombonera. Un progetto portato avanti da Jorge Reale, imprenditore vicino alla cordata che fa capo a Andrés Ibarra, uomo dell’ex presidente Mauricio Macri, intenzionato a tornare alla guida della società Azul y oro, che prevede il trasloco della “cancha” a 1.300 metri da quella attuale, con un percorso pedonale dentro il quartiere più caratteristico di Buenos Aires. Reale ha pubblicato le foto del progetto del nuovo impianto, realizzato dall’architetto Enrique Lombardi che ha già messo su lo stadio di Santiago del Estero, il Madre de Ciudades.

 

La casa del Boca nascerà a Isla Demarchi, un fazzoletto di terra all’estremo sud di Puerto Madero, ma territorialmente appartenente al barrio della Boca, alla confluenza tra il Rio de la Darsena sud e il Matanza, avrà una capienza di 128mila spettatori, con un effettivo di 107 mila per essere allineati alle norme sulla sicurezza. L’idea della Isla Demarchi, dove un tempo esisteva la Città sportiva del Boca Juniors, fu lanciata nel 1975, in piena dittatura, dall’allora presidente del club, Alberto J. Armando, per farlo diventare lo stadio principale del famigerato Mondiale del 1978. Allora ci si scontrò con problemi demaniali, oggi con questioni economiche, viste le previsioni di spesa di 300 milioni di dollari. Ben 30 mila posti saranno venduti in anticipo, a cinquemila dollari, su un totale di 112 mila disponibili, di cui 444 palchi vip e 190 turistici. Ma la Bombonera non cadrà, resterà un museo, un campo da gioco riservato alle giovanili e alla compagine femminile e servirà da schermo gigante in caso di finali, come quella del Mondiale 2030 se prevarrà la candidatura di Argentina, Paraguay, Cile e Uruguay. Da tempo si sta discutendo sul destino della vetusta Bombonera, inaugurata nel 1940 proprio tra le case della Boca. Il regista Juan Bautista Stagnaro, sceneggiatore del film “Camila”, finalista all’Oscar 1984 come miglior film straniero, è nato proprio di fronte all’ingresso dello stadio: «Si chiama Bombonera perché il suo progettista, l’architetto triestino Viktor Sulcic, al momento della presentazione del progetto, basato sull’Artemio Franchi di Firenze, aveva ricevuto in regalo una scatola di cioccolatini dai colleghi, in particolare da Josè Delpini, che così lo ribattezzò», dice il regista: «La Bombonera ha una acustica perfetta. Si dice che le voci di cinquantamila persone coprano letteralmente il cemento. Per questo non è meno grande il peso del suo silenzio, nei giorni feriali». Questa particolare sagoma determina una vocalità unica dello spazio: non a caso la tifoseria della Bombonera è chiamata La Doce – il dodicesimo uomo in campo – poiché i cori si trasmettono sul campo come un’onda vocale.

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I “boquenses” si sono sempre sentiti diversi, chiusi nelle loro particolarità tutta ligure. Dopo vari tentativi secessionistici, nel 1882 decisero di autoproclamarsi República Independiente de La Boca, quando su 35 mila abitanti, gli spagnoli erano solamente duemila, ma vennero dissuasi dal generale Julio Argentino Roca, presidente dell’Argentina. Tra garibaldini e carbonari, esponenti di società segrete e logge, repubblicani e rivoluzionari esiliati, nizzardi senza più patria, all’inizio del Novecento si insediò la passione del pallone, chiamato balompié, e qui nacquero sia il Boca Juniors che il River Plate, non a caso i suoi fan sono chiamati “darseneros”, dal luogo dove si trovava l’oramai mitica Carboneria Wilson, che poi emigrò nella Palermo di Borges.

 

Il Boca venne fondato da sette ragazzini su una panchina di piazza Solis, dopo riunioni chiassose in casa di Giovanni Baglietto e di sua moglie Catalina Vernazza, nativi di Varazze, che li cacciarono fuori: si chiamavano Esteban Baglietto, Alfredo Scarpatti, Santiago Pedro Sana e i fratelli Juan e Teodoro Farenga, ai quali si aggiunse subito dopo Tomás Movio e Amedeo Gelsi. Scelsero i colori della maglia attendendo la prima nave che giunse in porto, la svedese Drottling Sophia con il vessillo azzurro e la croce gialla. Subito trovarono i soci tra i tanti liguri che si accalcavano nelle bettole della fugazza, della fainà, dove si vendeva il giornale “O Balilla” in dialetto genovese e si incontravano gli uomini delle Confraternite dedicate alla Madonne delle pievi liguri. La sera ci si accalcava nelle balere dove andava in scena quella musica ancestrale che si chiama tango, un pensiero triste che si balla, secondo il maestro Enrique Santos Discépolo.

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Il club giocò la sua prima gara il 21 aprile del 1905 contro il Club Mariano Moreno, vincendo 4-0 con questa formazione: Esteban Baglietto, José María Farenga, Santiago Sana, Vicente Oñate, Guillermo Tyler, Luis De Harenne, Alfredo Scarpatti, Pedro Moltedo, Amadeo Gelsi, Alberto Tallent e Juan Antonio Farenga. Proprio Juan Farenga, il capitano, fece una doppietta; le altre reti le segnarono José Farenga e Sana. Baglietto era portiere, fondatore e presidente. Da quell’anno i giovani del Boca si iscrissero alla Liga de Villa Lobos, l’anno dopo alla Liga Central, vincendo il titolo. Nel 1907 entrarono nella Albion League partecipando al torneo organizzato dall’Associazione Porteña, in cui giocò l’Universal di Montevideo. Contro gli uruguaiani, l’8 dicembre del 1907, perdendo 0-1, i “xeneises” giocarono quella che è considerata la prima partita internazionale del club. Da allora sono giunti 18 trofei internazionali, di cui sei coppe Libertadores e tre coppe intercontinentali, 52 nazionali, 35 scudetti, qui hanno giocato campioni come Maradona, Tévez, Palacio, Caniggia, Batistuta e tanti oriundi, tornati in Italia grazie al pallone.