Il blocco centrista si sta avvicinando ai conservatori di Ecr già presieduti da Meloni e si va verso una rottura con il Pse. Ma le incognite non mancano, e i numeri non bastano

All’inizio erano voci di corridoio. Consistenti sì, ma ufficiose. Poi, mese dopo mese, si sono fatte sempre più esplicite, sino a diventare il segreto di Pulcinella che sono oggi: il Partito Popolare Europeo, ossia il partito di centro (con lieve tendenza a destra) che da anni è il principale partito europeo, si sta avvicinando a Ecr, il partito della destra conservatrice (quello di cui fa parte Meloni), e vuole mollare gli storici alleati del Pse, il Partito Socialista Europeo.

 

Se succedesse davvero sarebbe un cambio di scenario enorme. L’Europa di questi ultimi anni è stata disegnata sulla volontà di arginarle, le destre, non di aprire loro le porte del salotto buono di Bruxelles. Oggi, invece, il Ppe le corteggia senza tregua. Perché? Cos’è successo?

 

Sulle ragioni di questo cambiamento di direzione del Ppe ci sono varie letture: c’è chi dice che il motivo vero e inconfessabile sia che Manfred Weber, capogruppo del Ppe, detesti la compagna di partito Ursula Von der Leyen che, proprio con l’appoggio dei socialisti, gli ha scippato l’incarico di presidente della Commissione.

 

C’è chi dice che il Ppe soffra per l’emorragia di voti dei suoi partiti negli ultimi anni: l’europeismo non ha pagato, dunque meglio rifarsi il belletto spostandosi a destra. C’è chi dice che, in questi cinque anni, il Ppe abbia sofferto molto la convivenza con gli alleati di sinistra e la loro fissazione per l’ambiente e il Green New Deal (soprattutto per voce del vicepresidente di commissione Frans Timmermans), o i suoi enormi impegni di spesa all’insegna di un’Europa sempre più centralizzata.

 

Altre voci dicono che il possibile spostamento a destra del Ppe sia solo l’ennesima conseguenza del fatto che Angela Merkel, la più importante esponente del Ppe, abbia lasciato il timone. La Cancelliera aveva fatto della sua capacità di stare al centro esatto dell’emiciclo una specie di marchio di fabbrica e dei suo quattro governi, tre sono stati di larghe intese con gli arcinemici socialdemocratici dell’Spd.

 

Ma se sulle cause di questo cambiamento di rotta c’è nebbia fitta (forse è una somma di tutte quelle che abbiamo contato fin qui) più chiare sono le dinamiche necessarie affinché l’Europa si sposti davvero a destra.

 

Prima di tutto, servono seggi e, quindi, voti: perché l’alleanza di Ppe e Ecr veda davvero la luce è necessario che i partiti che fanno capo ai loro gruppi europei (e che sono moltissimi, diversi per ogni Paese, in Italia Fratelli d’Italia per Ecr e Forza Italia per il Ppe) vincano le elezioni e ottengano, sommati, un numero di seggi che dia loro la maggioranza. Il che, in un emiciclo da 705 deputati, è impresa molto ardua.

 

Infatti, benché è possibile che alcuni partiti dei due gruppi vadano molto bene (o facciano addirittura il botto come si prevede farà Fratelli d’Italia per Ecr, o il Partido Popular, in Spagna) è anche vero che altri andranno verosimilmente meno bene (come Forza Italia o i Republicains francesi, per il Ppe). In pratica, è vero che molti dei partiti della destra e del centro europei andranno molto bene alle prossime elezioni, ma è anche vero che altri avranno risultati meno felici, in un sistema di vasi comunicanti in cui le vittorie dell’uno (per esempio Fratelli d’Italia) rischiano di essere le sconfitte dell’altro (per esempio Forza Italia). Quindi, facendo quattro conti e anche basandosi sui sondaggi più generosi per i due gruppi, sommando Ppe e Ecr, la metà dell’emiciclo appare lontana.

 

Secondo l’aggregatore di sondaggi Europe Elects, i Popolari potrebbero contare su 163 seggi; i conservatori su 85. In tutto fa 248. Mancano più di 100 voti per la maggioranza di un Parlamento da 705 deputati.

 

Così, visto che l’aritmetica sbarra la strada all’alleanza cui il capogruppo del Ppe Manfred Weber sta lavorando da mesi, occorre pensare, già da subito, a un piano B, ossia a un terzo alleato che possa fare da stampella al centro destra europeo. Nella ricerca di questa stampella si può procedere in due direzioni. La prima va verso destra ed è la più improbabile di tutte: quella di un asse che comprenda anche il gruppo di Identità e Democrazia, ossia l’estrema destra tra i cui banchi siedono, tra gli altri, i deputati della Lega, quelli tedeschi di Alternative für Deutschland o del Rassemblement National di Marine Le Pen. Il cammino in questa direzione è molto accidentato e più voci, all’interno del Ppe, hanno dato segno di non volerne sapere.

La seconda strada invece punta verso il centro (con lieve slittamento a sinistra, soprattutto sul tema dei diritti) dei lib dem di Renew Europe (il gruppo del quale fanno parte, tra gli altri, Emmanuel Macron, il premier olandese Marc Rutte, Matteo Renzi e Carlo Calenda).

 

Il gruppo, sempre secondo i sondaggi, dovrebbe ottenere circa 90 deputati. Ancora non sufficienti a Ecr e Ppe per raggiungere la maggioranza, ma abbastanza da volerci provare.

 

Certo, se anche questa strada fosse sbarrata (e probabilmente lo è: Renew Europe non sembra interessata), ci sarebbe sempre il piano C, che è il più logico e razionale, sia sul piano politico che su quello aritmetico: la cara, vecchia e già testata, alleanza con il Pse (che può contare su 140 seggi) e con i lib dem di Renew. Non è un’idea molto originale eh. Anzi, c’è già e si chiama maggioranza Ursula.