I big player del turismo mondiale si sono incontrati a Riyadh e il prossimo summit sarà in Ruanda. Una Davos del turismo che riunisce politici e vertici delle 250 aziende che stabiliscono mete, flussi e affari per 50 miliardi di dollari

Sono riusciti a fare incontrare nella capitale dell’Arabia Saudita, Riyadh, ben 57 ministri del Turismo di tutto il mondo. Oltre a personalità di prestigio come l’ex premier britannico, Theresa May, e l’ex segretario delle Nazioni Unite, il coreano Ban Ki-Moon. Erano più di 3mila le persone presenti, tra le quali 250 amministratori delegati delle più importanti aziende del settore. L’invito arrivava dagli organizzatori del Global summit, l’incontro che viene organizzato dal Wttc, World travel and tourism council, ogni anno in una località diversa, e che a novembre 2023 si svolgerà in Rwanda.

 

Nonostante il termine “council” nel nome suggerisca che si potrebbe trattare di una istituzione, è in realtà un’associazione di aziende che operano in questo ambito. E il loro Global summit, una sorta di assemblea plenaria dell’organizzazione, rappresenta per il turismo quello che Davos rappresenta per l’economia in generale: gli esperti, i politici e gli imprenditori più importanti del mondo si riuniscono per confrontarsi sul futuro e, naturalmente, per allacciare relazioni e alleanze.

 

«Durante i tre giorni a Riyadh sono stati conclusi accordi e memorandum d’intesa del valore di 50 miliardi di dollari. La sola Arabia Saudita, Paese ospitante, ha siglato 50 accordi; e si stima che il contributo del turismo alle economie regionali del Medio Oriente potrà crescere a una media annua del 7,7 per cento. Un valore tre volte superiore al tasso di crescita media delle economie regionali».

 

A parlare così è Roberta Garibaldi, esperta di enogastronomia che ha appena lasciato la carica di amministratore delegato dell’Enit, l’agenzia italiana di promozione turistica, per andare a ricoprire quella di vicepresidente con delega al turismo dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, alla quale aderiscono 36 Paesi). Lei il Wttc lo frequenta da tempo perché «si tratta di occasioni internazionali che arricchiscono e sono molto stimolanti, oltre a essere poi utilissime per creare delle buone relazioni».

 

Ma tra i 57 ministri del Turismo presenti, quello italiano non c’era. Anzi, di italiani ce n’erano proprio pochi. E nessuno, a quanto pare, in rappresentanza di istituzioni. Come imprese, in compenso, c’era Gabriele Burgio, amministratore delegato del primo gruppo italiano, Alpitour, che opera in tutti i campi: outgoing, incoming, trasporti e così via. Lui era stato in Arabia Saudita anche un mese prima per firmare un accordo di partnership con il ministero del Turismo.

 

«I sauditi si sono appena aperti al turismo e hanno individuato un partner di riferimento per ogni Paese. Per l’Italia, hanno scelto noi. Al Global summit, comunque, io vengo sempre perché è un’occasione d’oro per i contatti. Basta pensare che dopo due giorni qui, sto tornando a casa con 170 biglietti da visita. È comprensibile che di italiani ce ne siano pochi perché il nostro tessuto imprenditoriale, anche nel turismo, è fatto di piccole e medie aziende; e partecipare a questi eventi rappresenta un costo sproporzionato rispetto ai benefici che può ricavarne un’azienda familiare. Non è diverso in altri settori, come la moda, l’energia, i trasporti. Basta leggere il Financial Times e si vede che l’Italia è presente pochissimo negli eventi internazionali. Io vado da anni a Berlino per l’Ihif (International hotel investment forum) dove ormai partecipano più di 2mila persone: ci sono anglosassoni, spagnoli, francesi e io sono l’unico italiano. Penso però che potremmo provare a ospitare il Wttc da noi, perché sarebbe un’ottima opportunità. Quando era arrivato al Turismo il ministro Garavaglia, gli avevo detto di interessarsi per proporre l’Italia. Naturalmente, si tratta di lavorare con largo anticipo, perché le candidature si presentano due anni prima. Quindi adesso possiamo provarci per il 2024 o il 2025».

 

In effetti, la località scelta per ospitare il successivo Global Summit viene svelata durante la manifestazione conclusiva dell’evento precedente. Somiglia un po’ all’annuncio di dove si svolgeranno le Olimpiadi o i Mondiali di calcio. Perché ci si candida con largo anticipo. D’altra parte, vincere questa gara può voler dire salire di colpo nella classifica delle destinazioni turistiche più presenti nei cataloghi dei tour operator di tutto il mondo. Insomma, i vertici del Wttc hanno una grande responsabilità nel decidere, ogni volta, dove tenere questo evento ma anche un grande potere. Quali criteri seguono? Lo spiega Arnold Donald, presidente dell’organizzazione e fino a qualche mese fa amministratore delegato del più grosso gruppo di crociere al mondo, la Carnival.

 

«Il nostro obiettivo è di favorire la collaborazione tra pubblico e privati per incentivare un turismo sostenibile. E la location che scegliamo per il nostro evento ha un suo ruolo. Il precedente Global summit l’abbiamo tenuto nelle Filippine, che stavano per riaprire le frontiere al turismo dopo il blocco dovuto al Covid-19, ma l’abbiamo fatto lì anche perché hanno scelto di valorizzare e proteggere il loro immenso patrimonio naturalistico, fornendo agli altri un esempio concreto. Qui in Arabia Saudita il turismo è appena iniziato e le autorità hanno fatto una scelta di tutela dell’ambiente e di sostenibilità sociale».

 

Anche se lo dice con diplomazia, le parole di Donald sembrano significare: «Se un Paese vuole ospitare il nostro evento annuale, deve aderire alle nostre politiche». Quello della sostenibilità, ambientale e sociale, è ormai da anni il tema dominante di tutta l’attività dell’associazione, che in questo modo punta a prevenire e disinnescare le critiche rivolte alle attività turistiche da parte degli ambientalisti più radicali: dai trasporti, nel loro mirino per le emissioni di aerei e navi, alle strutture ricettive, accusate di alterare gli equilibri dei centri urbani e delle oasi naturalistiche. Non a caso, il titolo del Global summit saudita era proprio “Il viaggio per un futuro migliore”.

 

«Il nostro business si basa proprio sul viaggio e si sta lavorando per sostituire quelli attuali con motori elettrici e a idrogeno. Ma nel frattempo, esiste la tecnologia Saf (Sustainable aviation fuel). E i governi dovrebbero considerarla una priorità, così come fanno con le auto elettriche alle quali vengono già destinati dei sostegni concreti», dice Julia Simpson, Ceo del Wttc e con una lunga esperienza proprio alla guida di compagnie aeree.

 

Visto il contesto, c’è da pensare che i governi siano più che disponibili ad accogliere i suggerimenti e le richieste che Simpson e Donald avanzano a nome della categoria. Basta pensare che un ministro del Turismo che ospita il Global Summit non si limita a passare per fare un saluto ma partecipa a tutti i lavori, dall’inizio alla fine, incontrando decine o anche centinaia di personalità. E al Wttc non fanno per nulla mistero della loro capacità d’influenza sui politici.

 

Proprio in merito all’emergenza climatica, Simpson dice di avere parlato, all’ultimo G20, con il ministro del Turismo delle Fiji a proposito di un intero villaggio che andava spostato lontano dalla costa. E nei giorni scorsi, appena due settimane dopo aver lasciato Riyadh, era al COP15 di Montreal dove ha concluso un accordo con l’Agenzia delle Nazioni Unite per il turismo (UnWto) per raggiungere un obiettivo preciso: recuperare, entro il 2030, la biodiversità perduta nel mondo.

 

Una collaborazione che può portare a risultati concreti?
Risponde ancora Arnold Donald: «Abbiamo presentato a Riyadh i risultati di una ricerca che ha misurato l’impronta climatica del settore viaggi e turismo in 185 Paesi e viene fuori che, a fronte di una crescita del settore pari al 4,3 per cento annuo nel decennio 2010-2019, l’impatto sull’ambiente è cresciuto di appena il 2,4 per cento. Le stime fatte in precedenza prevedevano che il settore avrebbe avuto la responsabilità dell’11 per cento del totale delle emissioni di gas serra. Mentre questa ricerca riporta che ci siamo fermati all’8,1 per cento. Un risultato dovuto allo sviluppo tecnologico e all’introduzione di varie misure di efficientamento energetico. E anche al contributo dato da molte strutture, anche piccole, in tutto il mondo seguendo le best practices che abbiamo suggerito noi».

 

Sempre per parlare di interventi concreti, l’Arabia Saudita ha annunciato un programma di investimenti nella green economy pari a 186 miliardi di dollari. E le prime realizzazioni di strutture ricettive, ad appena cinque anni dall’apertura delle frontiere ai visitatori per turismo, sembrano proprio rispettare i criteri ecologici più rigorosi. Certo, si tratta quasi sempre di strutture di lusso. Come l’Habitas di AlUla, dove dormire può costare intorno ai 1.000 euro a notte. Segno che, forse, il vero lusso oggi è proprio il rispetto dell’ambiente. O che, magari, rispettare l’ambiente può essere un vero lusso.