Tra un mese l’evento che si tiene una volta ogni cinque anni e sancirà l’arrivo ai vertici di una nuova generazione. Un momento chiave per capire il futuro di Pechino. Ecco come si stanno muovendo i big

Il 16 ottobre il Partito comunista cinese si riunirà nel Congresso, il Ventesimo. Si tratta di un appuntamento quinquennale, che di volta in volta si ammanta di mistero, supposizioni, rumors, specie per quanto riguarda la composizione della Commissione permanente del Politburo, ovvero il cuore del potere politico cinese composto, al momento, da nove uomini. A Pechino, dove la politica pesa, si respira l’aria del Congresso da settimane prima, manifestata da divieti bizzarri (negli anni scorsi era proibito anche il volo dei piccioni viaggiatori) e da un dispiegamento di polizia perfino superiore a quanto avviene in tempi normali. È il momento più alto della politica cinese ed è stato spesso segnato da scontri interni ferocissimi.

 

Il Ventesimo è un Congresso sui generis, perché sarà caratterizzato dalla più che probabile conferma di Xi Jinping alla guida del paese: una possibilità che sembra confermata dai documenti usciti dal Partito in queste ultime settimane e che costituisce un’eccezione alla consuetudine di un massimo di due mandati, dieci anni, per la leadership del Paese.

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Xi Jinping durante questo decennio ha infatti provveduto a modificare il dettame costituzionale che imponeva il limite a due mandati, senza per altro indicare un proprio successore. Dopo la turbolenta successione di Deng a Mao, “il piccolo timoniere” aveva provato a stabilire alcune regole per una “guida collettiva” del Partito, individuando con largo anticipo i futuri leader del paese. In realtà l’unica successione “regolare” è stata quella di Hu Jintao, che ha ereditato il potere da Jiang Zemin nel 2002 (benché il vecchio Jiang abbia impiegato un po’ di tempo prima di abbandonare la carica di capo della commissione militare) e poi proprio quella di Xi: indicato come il probabile leader già nel 2007, nel 2012 ha assunto le tre funzioni (incarnate per la prima volta proprio da Jiang Zemin durante gli anni ’90) che ne contraddistinguono il potere: segretario del Partito, capo delle forze armate, Presidente della Repubblica popolare.

 

A quanto pare, nonostante un 2022 terribile per la Cina tra rallentamento economico, bolla immobiliare, siccità, terremoti e una politica “Zero Covid” che continua a tenere chiusi in casa milioni di cinesi, Xi Jinping terrà tutte e tre le cariche. A essere contesa, al momento, è la carica di premier. Se è vero che in Cina quello del premier solitamente è un ruolo secondario rispetto a quello di segretario del Partito, è altrettanto vero che alcuni premier hanno saputo “segnare” il proprio periodo in carica più di altri. Senza andare troppo indietro nel tempo, nel decennio 2002-2012 tra il segretario Hu Jintao e il premier Wen Jiabao, è stato senz’altro il secondo a essersi conquistato più visibilità e popolarità. L’ipotesi più accreditata per la sostituzione di Li Keqiang (l’attuale premier che potrebbe finire per ricoprire qualche ruolo istituzionale) parla di una sfida a due tra Wang Yang, veterano e già nel Comitato Permanente del Politburo (Wang è il numero 4) e Hu Chunhua, vice premier, “eterna” stella della politica cinese che in questo Congresso dovrebbe finalmente entrare nel Comitato Permanente a 63 anni. Wang Yang è considerato un riformista, Hu di recente sembra essere finalmente entrato nelle grazie di Xi Jinping.

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In generale il Congresso determinerà la postura politica interna e internazionale della Cina, specie se il ricambio generazionale che ci si aspetta nel Comitato Centrale del Partito, porterà a un maggiore equilibrio tra la fazione di Xi e quella dei suoi timidi oppositori. Ma Xi Jinping, naturalmente, si è già mosso in anticipo. A questo proposito ci sono due aspetti importanti: comunque vada, nelle sfere apicali del Partito arriveranno tanti nati negli anni ’60 (“la sesta generazione di leader”). Significa persone che non hanno vissuto la Rivoluzione Culturale come i loro predecessori e che anzi, sono cresciuti in una Cina già inserita all’interno di un contesto globale e in grande crescita. Questo potrebbe significare una “apertura” mentale più ampia rispetto alle generazioni precedenti.

 

In secondo luogo, come hanno osservato i ricercatori di Macropolo, «il pendolo sta tornando a favore dei tecnocrati perché Xi ha dato la priorità al progresso tecnologico rispetto alla crescita. Con queste strategie ambiziose i tecnocrati sono necessari». Nel corso di questi ultimi due anni Xi Jinping quindi ha già provveduto ai due obiettivi: rinnovare le fila dei funzionari del Partito e indicare una strada. Un esempio perfetto è quello della regione dell’Hunan, diventato nel tempo un importante centro di ricerca di progetti aeronautici e tecnologici. Lì Xi Jinping ha messo Xu Dazhe, nominato governatore nel 2016 e promosso segretario del partito nel 2020. «È come se un ex ingegnere della Nasa diventasse il governatore di uno stato», hanno scritto gli analisti di Macropolo. E non è l’unico caso: in questo modo Xi ha creato una sorta di “fazione” di tecnici, molti dei quali giovani, in grado di portare avanti la sua agenda governativa, senza sgarrare a livello ideologico.

 

A questo proposito, nonostante i cambiamenti che avverranno, chi rimarrà al suo posto sarà proprio “l’ideologo” cinese Wang Huning, artefice di quella parte “epica” che sembra contraddistinguere questi dieci anni di Xi (“il sogno cinese”, “il futuro dal destino comune”, la stessa Via della Seta).

 

Come la può la politica mantenere il potere durante trasformazioni epocali? Wang Huning ha una risposta: attraverso la cultura da intendersi come quel sistema valoriale, tradizionale, che permette di fornire alla società, alla popolazione, una bussola di orientamento. Wang Huning naturalmente ha adattato questa sua risposta al contesto cinese, diventando un punto di riferimento dei leader di Pechino da Jiang Zemin in avanti, la cui principale preoccupazione era utilizzare strumenti economici occidentali ma rimanere distanti dai valori occidentali.

 

Un aspetto importante è infine quello relativo alla politica estera: entrambi i massimi diplomatici cinesi - il membro del Politburo Yang Jiechi e il ministro degli Esteri Wang - avranno superato l’età pensionabile quando si terrà il congresso. Yang ha 72 anni, mentre Wang compirà 69 anni ad ottobre e il limite dei funzionari solitamente è 68 anni (limite che non vale per il numero uno). Secondo molti osservatori, però, Wang Yi probabilmente sarà confermato. In attesa che dal Congresso esca anche un documento che definirà la nuova politica cinese su Taiwan, alla luce della crisi agostana dovuta alla visita della speaker del Congresso americano Nancy Pelosi.