Nell’incubo recessione, in pieno allarme energetico, l’Unione fatica a tenere sui temi dell’agenda comune. Pesano le crisi di leadership di Francia e Germania e la fine del governo di Mario Draghi. Per l’Italia incognita Pnrr

L’Europa parte in vacanza orfana di Mario Draghi, l'uomo che dieci anni fa aveva salvato l'euro e a cui oggi aveva indirettamente affidato il compito di traghettarla fuori dalle conseguenze economiche di questa nuova Guerra fredda. «A mancare saranno la sua esperienza e la sua diplomazia, doti che combinate insieme sono state capaci di tenere le fila di tutti i dossier aperti sul tavolo comune», dice un ex ministro delle Finanze dell'Unione. In altre parole, ora la Ue dovrà scegliere su cosa puntare nei prossimi mesi perché né il presidente francese Emmanuel Macron, contestato a casa, né il cancelliere tedesco Olaf Scholz, l'eterno indeciso in mano all'industria nazionale, hanno da soli la capacità di trainare il Vecchio continente contemporaneamente verso l'unione fiscale, l'unione della difesa e anche quella energetica. Non adesso che il mediatore italiano non c'è più, che l'inflazione morde, che il freddo alita sul collo nonostante l'estate ardente e che la Germania potrebbe ritrovarsi in recessione a causa di scelte industriali una volta vincenti e oggi tossiche. Per non parlare dell'Ucraina: chi convincerà Scholz a non tirarsi indietro nel difenderla, nonostante l'opposizione dell'industria tedesca, che tra il ritrovarsi in bancarotta la Basf e il regalare l’Ucraina a Vladimir Putin non avrebbe nessuna esitazione verso la seconda scelta? L'emergenza energetica sta soppiantando velocemente quella pandemica e, in assenza di una leadership forte, ancora una volta l'Europa fatica a difendere economia e valori comuni.

La fotografia dei tre leader sorridenti sul treno verso Kiev - Draghi, Macron e Scholz, simbolo dell'unità e della determinazione europea, si è ingiallita velocemente, anche per chi non ci aveva scommesso davvero. «In Italia i governi tecnici durano pochissimo», dice l'analista economico tedesco Wolfang Munchau: «Quello di Draghi è sopravvissuto perfino più a lungo del previsto, la politica si è presa la rivincita». Ora la vera domanda è se l'Italia sarà in grado di sostituire alla "magia" di Draghi un ambiente politico stabile per sostenere l'economia propria e dunque quella europea in una situazione di grande incertezza. Il rialzo dell'inflazione, spinta dall'aumento dei prezzi dell'energia e delle materie prime, potrebbe diventare sopportabile dalla popolazione se i salari crescessero di pari passo, dopo un ventennio di stagnazione, senza però spingerla ulteriormente. A quel punto tassi d'interesse e crisi incipiente potrebbero arrestare la loro corsa. In Italia come in Europa.

Il successo economico della terza economia dell'Unione e quella con uno dei debiti pubblici più alti del mondo coincide sempre più con quello di tutta l'Europa. Un dato che gli italiani tendono a dimenticare. Se l'Italia va bene, la stabilità europea è garantita. Così è stata una felice coincidenza che il giorno in cui Draghi è stato mandato a casa da Cinquestelle, Lega e Forza Italia, la Banca centrale europea di Christine Lagarde abbia varato il Tpi. È il nuovo, necessario, strumento finalizzato a garantire che le decisioni di politica monetaria siano trasmesse a tutti i Paesi dell'area euro, neutralizzando gli scossoni provocati da quegli investitori che decidono di prendere di punta un singolo Stato. Una sorta di cintura di sicurezza per lo spread, il divario tra i rendimenti dei buoni del Tesoro tedeschi e quelli italiani, che tiene sotto scacco lo Stivale indebitato. Ma gli acquisti di debito pubblico, e anche, discrezionalmente, privato, garantiti dal Tpi possono scattare solo se il Paese in questione è in regola con il rispetto degli impegni presi sul Pnrr. Il nuovo strumento di politica monetaria conserva sotto vuoto lo spread fintanto che sono rispettate le tappe del piano. «Il giorno che non lo saranno più, allora non aumenterà gradualmente fino a raggiungere livelli insostenibili come avvenne nel 2011 ma esploderà di colpo», avverte Carlo Altomonte, professore di Economia politica dell'università Bocconi e consigliere economico del governo.

Dopo i primi 25 miliardi elargiti dalla Commissione come anticipo sui 222 complessivi, ogni sei mesi l'Italia potrà riceverne una ventina se avrà rispettato le tappe di riforma e di investimento previste dal programma. Il giudice è la Commissione stessa, che ha già dato luce verde alla scadenza del 30 giugno, nonostante qualche impegno mantenuto in meno, ma che ora, temono in molti, in assenza di Draghi e magari in presenza di un governo euroscettico, potrebbe diventare più puntigliosa. I prossimi 21 miliardi sono previsti il prossimo 31 dicembre. Una tappa che, a causa delle elezioni del 25 settembre, è considerata a rischio. Per questo, con il placet del presidente Mattarella, il governo, a dispetto della pausa estiva e nel perimetro del suo essere dimissionario, sta accelerando su tutte le misure necessarie. «Il vero rischio non è tanto sul capitolo concorrenza, che è stato depotenziato, ma sul varo di alcune riforme in tema di giustizia», avverte Altomonte. Come, ad esempio, i tempi del processo civile e penale dovrebbero essere tagliati del 40 per cento e rivisti anche quelli dell’agenzia delle Entrate. I tempi sono strettissimi.

Ma la vera partita europea, quella su cui si fonderà la prossima scommessa sulla tenuta dell’Unione - ormai le scommesse si susseguono con lo stesso ritmo delle crisi - si giocherà quest'autunno sul capitolo energia. I capi di Stato europei hanno appena approvato, modificandola per tenere conto dei progressi già fatti da ciascuno, l'ultima proposta della Commissione prima della pausa estiva, che chiede a tutti di ridurre tra il primo agosto e il 30 marzo il consumo di gas del 15 per cento (per l’Italia, Paese importatore, sarebbe il 7, un obiettivo già fissato dal governo nel suo programma di degassificazione di maggio). Occorre creare un tesoretto da redistribuire ai Paesi più colpiti dalla riduzione delle forniture di gas russo. Il primo beneficiario sarebbe la Germania che, nemesi vuole, si ritrova a chiedere “solidarietà” all'Europa a causa dei suoi errori strategici.

Proprio nel giorno in cui gli Stati, inclusi quelli del Sud (ricordate l'odioso acronimo Piigs riesumato durante la crisi dell’euro?), che sono meno dipendenti dal gas russo, trovano l'immancabile compromesso all'europea, la Russia annuncia l'ennesimo taglio: i flussi del gasdotto Nordstream saranno ridotti a un quinto di quelli dello stesso periodo dell'anno scorso. Alle stelle è schizzato non solo il prezzo del gas ma anche il terrore dei tedeschi, imprese e cittadini, che temono un inverno al freddo e in recessione. L'indice di fiducia delle imprese tedesche è crollato a 88,6 punti in luglio dai 92,2 di giugno, il valore più basso dal giugno 2020. E anche gli esportatori dei settori della chimica, dell’alimentare, della plastica e dell'arredamento vedono nero: l'indice delle loro attese è sceso a meno 0,5 in luglio rispetto al 3,4 di giugno. «La Germania entrerà in recessione, consumerà meno gas, più elettricità, razioneranno il gas sia le aziende sia i cittadini fino a quando, con due anni di anticipo, compiranno la transizione ecosostenibile», prevede Munchau. E non è il solo economista pessimista: la Germania ha basato per 30 anni il suo modello economico sull’importazione di gas a basso prezzo dalla Russia per finanziare la sua industria votata all’export verso Russia e Cina, oltre che verso l’Europa. Gli investimenti tedeschi in rinnovabili nei prossimi anni saranno massicci ma tanti saranno gli intoppi sul cammino. Ad esempio l'eliminazione delle auto a combustibile fossile prevista per il 2035 potrebbe essere rimandata perché automobili, aziende e cittadini si contenderanno l'elettricità disponibile.

In questo scenario, l'Italia, che quest’anno potrebbe invece mettere a segno una crescita del 3 per cento, potrebbe diventare una sorta di hub fossile d'Europa, forte della sua grande interconnessione con il resto d’Europa, tanto che i tedeschi potrebbero trovarsi a comprare gas da noi. Fin dall'inizio della crisi, mentre Scholz rifletteva (e ancora riflette) sull'impatto dell'invio delle armi agli ucraini sull'industria tedesca, il governo italiano ha preso a girare il Mediterraneo alla ricerca di gas non russo. Con l'aumento delle importazioni dall'Azerbaijan tramite il gasdotto del Tap, di quelle dall'Algeria, che il mese scorso ha soppiantato la Russia come maggiore fornitore di gas, e di quelle di gas liquefatto dal Qatar, l'Italia, che importa il 95 per cento del gas, è passata in una manciata di mesi dal dipendere per il 42 per cento dal fossile russo a meno del 20 per cento, dato che scenderà ancora l'anno prossimo e il successivo, man mano che entreranno in azione i due rigassificatori galleggianti appena acquistati e i due nuovi impianti previsti a terra. Non solo. Nei primi cinque mesi dell'anno, il nostro Paese, nonostante abbia chiesto alla Commissione europea, che ci sta lavorando, un tetto al prezzo del gas, decuplicato rispetto all’anno scorso, ha aumentato del 578 per cento le proprie esportazioni, a stare ai dati di Altroconsumo. Insomma, Putin all'Italia non fa più paura. In un inatteso scambio delle parti, per una volta potrebbe essere la Germania a essere costretta a tendere la mano, almeno quest’inverno. E lo scambio diverrebbe ovvio: gas per debito. Ovvero, solidarietà sul gas (mancante) tedesco in cambio della solidarietà sul debito italiano. Che poi, scherza qualcuno, dopo la limatura a sorpresa di 14,3 miliardi appena annunciata dal governo l'accordo non è nemmeno così urgente. Almeno per l'Italia.