«Dovrà trovare un compromesso con gli altri partiti, senza rinunciare alle promesse della campagna elettorale». Dialogo con Paolo Mattera, docente di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi Roma Tre

«Il risultato delle elezioni legislative avrà un impatto rilevante nella capacità di governare di Macron: può trovare un compromesso con i Républicains, spostandosi a destra, o mantenersi “neutrale”, rischiando però di diventare un presidente debole», spiega Paolo Mattera, docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Roma Tre. Per la prima volta dal 2002, il presidente non avrà la maggioranza assoluta in assemblea nazionale. Ottimo risultato per la Nuova unione popolare, ecologista e sociale (Nupes), guidata da Jean Luc Mélenchon (131 seggi), e per il Rassemblement National di Marine Le Pen (89 seggi). L’astensione è calcolata al 53,77%. «La vera sconfitta consiste nell’incapacità dei partiti di rappresentare i cittadini: forse il problema più grave della politica francese»

La coalizione Ensemble!, di Emmanuel Macron, ha perso la maggioranza assoluta. Quali sono adesso gli scenari per la formazione del governo, e quanto Mélenchon potrà far pesare l’ottimo risultato ottenuto?
«Mélenchon ha ottenuto una grande vittoria politica ma, d’altro canto, non ha la vittoria numerica. Perciò, sebbene il peso della sinistra aumenti notevolmente, Macron ha delle alternative, che rispondono al nome dei Républicains, lo storico partito gollista che ha espresso i presidenti Chirac e Sarkozy. Dopo il crollo delle ultime presidenziali, tutti li davano per spacciati. Con le legislative possono invece resuscitare e diventare l’ago della bilancia. Adesso Macron deve affrontare un dilemma. Può formare un governo con l’appoggio dei Républicains, ma in questo caso avrebbe un profilo nettamente di centro-destra e perderebbe l’immagine di centrista, estraneo ai tradizionali schieramenti, su cui ha costruito il suo successo. Oppure può scegliere un Primo Ministro di basso profilo e cercare di volta in volta la maggioranza trattando sui singoli provvedimenti. Ma in questo caso darebbe un grande peso alla sinistra di Mélenchon e rischierebbe di diventare un presidente debole, continuamente invischiato in estenuanti trattative parlamentari».

Il presidente della Repubblica in Francia gode di ampi poteri e dà l’impressione di impersonificare lo Stato: i socialisti e Les republicans sembravano usciti dai giochi. È arrivato il momento di pensare a una riforma costituzionale, o si tratta di una carta elettorale giocata da Le Pen, Mélenchon e Zemmour?
«Sono due questioni differenti che si sovrappongono. In primo luogo c’è la crisi dei partiti di massa che sta avvenendo ovunque in Europa. In Francia, in particolare, l’elezione diretta del Presidente favorisce la personalizzazione, e perciò possono nascere partiti raccolti intorno al leader, come ha fatto Macron nel 2017. Queste elezioni legislative rimescolano però nuovamente le carte e offrono un’inattesa possibilità ai Republicains. Tutto sommato, è molto difficile che si arrivi a una riforma profonda, il problema del sistema istituzionale viene sollevato periodicamente ma poi la polemica viene accantonata a vantaggio delle altre questioni quotidiane. È più probabile che si inseriscano piccoli correttivi, come una parte di voto proporzionale alle legislative oppure forme di partecipazione diretta come i referendum, per riportare i cittadini alla politica.

A tal proposito, queste elezioni hanno registrato un altissimo astensionismo, più del 53%: quali sono le ragioni?
«L’astensione è una forma di protesta, che in Francia viene accentuata dai meccanismi istituzionali. Infatti i sistemi parlamentari con elezioni più proporzionali corrono il rischio della frammentazione e dell’inefficienza, ma garantiscono la rappresentanza a un maggior numero di gruppi sociali, ammortizzando le tensioni. Il sistema presidenziale e maggioritario francese garantisce tendenzialmente la stabilità, ma sacrifica la rappresentanza. L’elezione dell’assemblea nazionale è un sistema maggioritario in collegi uninominali a doppio turno: vince chi arriva primo e i voti andati agli altri candidati si perdono. A suo tempo, quando fu introdotto nel 1958, questo sistema permise di risolvere il problema della frammentazione dei partiti che aveva portato alla paralisi del sistema francese. Ma dopo più di sessant’anni anche questo meccanismo sta mostrando i suoi difetti. Un cittadino sa che il suo candidato deve arrivare primo nel collegio, altrimenti la sua voce non giungerà in parlamento. Molti perciò si sentono esclusi e rinunciano a votare, in particolare nelle zone a più alto disagio sociale o tra i giovani, che non si sentono rappresentati dai partiti attualmente esistenti. Si tratta di un problema enorme, forse il più grave della politica francese».

Perché Macron è stato così ambiguo nelle indicazioni di voto nei ballottaggi tra un esponente della Nupes e uno del Rn? Tale ambiguità non scredita la tensione a sinistra, soprattutto per quanto riguarda il tema dell’ecologismo, all’indomani del primo turno di presidenziali?
«Macron ha costruito il suo successo intorno a un concetto-chiave: i valori repubblicani. Vale a dire, la democrazia, il libero mercato, la lotta al razzismo e l’Europa. Quindi ha indicato un nemico dei valori repubblicani: il Fronte Nazionale di Le Pen, accusando i socialisti e i gollisti di non fare abbastanza per fermarlo. Ora avrebbe dovuto invocare la difesa dei valori repubblicani anche nei collegi dove i candidati di Nupes si opponevano ai candidati del RN di Le Pen. Invece non l’ha fatto, per due ragioni: sul piano strategico, Macron accusa anche Mélenchon di essere contrario ai valori repubblicani, marchiandolo come un populista di sinistra, nemico del mercato e anti-europeista. Sul piano tattico, Macron temeva che l’eventuale appoggio ad alcuni candidati di Nupes avrebbe provocato la loro vittoria. In quel caso si sarebbe trovato costretto a nominare Mélenchon Primo ministro, con una difficile coabitazione, che avrebbe ridotto notevolmente i margini di azione del suo governo.

Come si spiega l’ottimo risultato del Rassemblement National (89 seggi, dieci volta tanto le elezioni del 2017), che gli permette di presentare mozioni di censura e contestare al Consiglio costituzionale la costituzionalità delle leggi?
«Marine Le Pen ha giocato la sua partita su due tavoli. Il primo è stato quello di soffiare sul fuoco della protesta dei francesi più tradizionalisti, che si sentono a disagio in una società multietnica e diffidano della globalizzazione. Il secondo è stato quello definito di “dédiabolisation”, volto ad attenuare i tratti più estremisti, razzisti e intolleranti del Fronte Nazionale, per rassicurare gli elettori moderati. Il buon risultato di queste legislative mostra che il nucleo duro degli elettori “arrabbiati” è in crescita e che il suo partito potrà svolgere un ruolo rilevante. D’altro canto, l’inaspettata ripresa dei Républicains potrebbe toglierle nuovamente gli elettori più moderati su cui ha lavorato, vanificando gran parte dei suoi sforzi. La questione dei rapporti di forza a destra è una delle partite più importanti per il futuro della politica francese».

Dalla riforma della pensione a 65 anni, al condizionamento del reddito di solidarietà (Rsa) all’esercizio di un lavoro, passando per l’immigrazione, il programma di governo di Macron, salva, appunto l’agenda ecologista, si può definire di destra moderata?
«In politica economica Macron ha sicuramente un’agenda attenta alle ragioni del mercato e degli imprenditori. E infatti molti elettori socialisti che lo avevano votato nel 2017 ora si sono rivolti a Mélenchon. D’altro canto, Macron ha un profilo molto articolato, perché si mostra attento a temi di sinistra come i diritti civili e la questione ambientale. Le classificazioni sono difficili e Macron sfugge alle categorie tradizionali. Del resto, è stata proprio questa sua capacità a garantirne il successo. L’esito di queste legislative gli imporrà tuttavia di fare scelte difficili che potrebbero modificarne l’immagine. Ora dovrà mostrare capacità di mediazione e moltissima creatività. Vedremo presto se avrà anche queste doti. La politica francese dei prossimi mesi sarà sicuramente appassionante».