Nel più grande paese africano ci sono condutture in tutte le case e la materia prima costa quasi niente. Privilegi della decima riserva di combustibile del pianeta a cui l’Italia bussa per liberarsi dalla dipendenza dalle fonti russe

Entrando a casa di Zeina, la prima cosa che si vede è il gas. Un grande termosifone a gas, la fiamma accesa, con un tubo verso il tetto, un “condotto” che lo lega al sistema centrale del palazzo, in pieno centro ad Algeri, accanto alla celebre “Grande Poste”, il monumentale ufficio postale.

 

È il gas dello Stato che spetta a tutti gli algerini. Nonostante il sole coperto di nuvole di fine marzo faccia pensare alla primavera, la fiamma di gas è accesa ventiquattro ore su ventiquattro, come se fosse pieno inverno, e rimane tale anche quando si esce e non c’è nessuno dentro. La casa è dunque calda, tanto da poter stare in maglietta a maniche corte, così come in tutte le case ad Algeri, la capitale del Paese maghrebino che si affaccia sul Mediterraneo tramite uno dei più grandi porti africani. «Paghiamo talmente poco di bolletta che non mi ricordo neanche quanto, non ci facciamo caso», dice Zeina, una signora di 76 anni, pensando al prezzo irrisorio del gas, ridicolo rispetto all’enorme consumo nel Paese. «È l’unica cosa che non ci manca». Una tempesta di sabbia sul far della sera, frequente in questa stagione, lascia al cielo rosso fuoco salutare le ultime ore della giornata prima del buio. Solo la fiamma in corridoio resta luminosa per tutta la notte.

 

Il rapporto che l’Algeria e gli algerini hanno con il gas è davvero particolare. La decima più grande riserva di gas naturale accertata a livello globale ed è il sesto esportatore mondiale, contrariamente all’Europa e ad altri Paesi che hanno ugualmente grandi risorse, l’Algeria mantiene l’obbligo di collegare tutte le case, tutti gli edifici, al gas, da cui ne conseguono milioni e milioni di spesa statale. «Anche chi ha una casa su in montagna, esigerà di avere il collegamento col gas a casa. L’ho visto in un villaggio lontano da Algeri dove il proprietario si stava facendo costruire il condotto. Incredibile vedere tutta quella costruzione per una persona sola», racconta il giornalista e scrittore Adlène Meddi. «Talmente gli algerini sono abituati a questi standard che se manca il gas si innervosiscono. È un diritto, è il patrimonio algerino: è nostro, il nostro sangue, il sangue dei martiri, la fortuna del cielo, donato dopo una lunga storia di colonizzazione e sofferenza».

 

Con l’allusione a questa relazione quasi esistenziale col gas, Meddi si riferisce alla lunga guerra di liberazione dal colonialismo francese e al milione di morti, i martiri dell’indipendenza. Quest’anno se ne celebrano i sessant’anni. La scoperta delle grandi riserve di gas e petrolio risale a qualche anno prima. Nel frattempo, oggi, questo legame così forte, da cui però ne è derivata una banalizzazione del valore economico, si confronta con la politica internazionale e la domanda più che mai necessaria di aumentarne la produzione per l’esportazione.

 

Tra questi, naturalmente, anche o soprattutto l’Italia. Nei primi due mesi del 2022, l’Algeria è stato già il primo fornitore di gas dell’Italia. Fino ad allora, il primato era stato russo. «Il partenariato energetico tra Italia ed Algeria ha una profonda dimensione storica, basti pensare che il gasdotto Transmed è operativo dal 1983, e l’obiettivo comune è quello di rafforzarlo ulteriormente, tanto nel breve quanto nel medio e nel lungo periodo», sottolinea l’ambasciatore italiano ad Algeri, Giovanni Pugliese.

 

«Nella sua ultima missione il 28 febbraio, il ministro degli Esteri Di Maio ha ricordato che l’Algeria è da sempre un fornitore affidabile. Già prima della crisi ucraina, l’Algeria stava guadagnando un ruolo più importante tra i nostri fornitori energetici: nel 2020 il gas algerino ha coperto il 22 per cento del nostro fabbisogno, nel 2021 il 28 per cento. Inoltre, a dicembre 2021 Eni e Sonatrach, la compagnia petrolifera nazionale algerina, hanno firmato un contratto per rilanciare la produzione nel bacino del Berkine».

 

L’Algeria resta per l’Italia il primo partner commerciale in Africa, fino a pochi anni fa anche in tutto il Medio Oriente, poi superato da Emirati Arabi e Arabia Saudita. Tradizionalmente le imprese italiane sono sempre state presenti per idrocarburi, infrastrutture e grandi lavori pubblici. Mentre questi ultimi due settori sono diminuiti dal 2014 in poi, si parla oggi della necessità di diversificazione economica, ovvero portare le imprese a investimenti anche nel settore delle rinnovabili e della transizione ecologica. Nel Paese nordafricano, solo da pochi anni è stato creato il ministero dell’Ambiente e delle Energie rinnovabili per pensare a un futuro energetico diverso. «Sviluppare la produzione da fonti rinnovabili permetterebbe di coprire almeno in parte la domanda interna crescente, anche per la crescita demografica, e liberare maggiori quote di gas per le esportazioni» prosegue l’ambasciatore. «Proprio sul tema della transizione energetica, stiamo negoziando con l’Algeria un memorandum d’intesa che possa fornire un quadro strutturato per la collaborazione». Anche perché a causa di difficoltà tecniche e problemi di manutenzione, l’esportazione di gas può aumentare solo in piccole percentuali.

 

Ma la storia delle relazioni energetiche e diplomatiche, ovvero dell’amicizia tra Italia e Algeria, ha radici più profonde e quest’anno viene celebrata in diverse occasioni. Nella sala principale del Museo del Moudjahid, dedicato alla memoria della lotta per l’indipendenza, l’inno algerino risuona per intero e gli astanti, partecipanti al convegno, ascoltano in piedi in rigoroso silenzio. Alla fine dell’inno segue un grande applauso e subito dopo parte l’inno d’Italia. Lo stesso silenzio e fierezza riempie la sala e alla fine dell’inno di Mameli, l’applauso che abbraccia la sala sembra ancora più trionfante. Il tema della conferenza campeggia sul grande schermo della sala in quattro lingue: “La Rivoluzione Algerina e i mass media italiani - La Rai radiofonica televisiva e la stampa italiana” e ripercorre il ruolo dei media italiani nel supportare la causa algerina, in particolare Alberto Angela e Bernardo Valli. Onnipresente la locandina di Gillo Pontecorvo con il suo film “La battaglia d’Algeri”, altro simbolo potente di un impegno e presenza italiana nel Paese in lotta.

 

Contemporaneamente, al Salone Internazionale del Libro di Algeri, la fiera del libro più grande di tutta l’Africa e il Medio Oriente, l’Italia è il Paese ospite e nel suo padiglione la storica Bruna Bagnato, presentata come una star in Algeria, ripercorre alcuni aspetti di questo sostegno: «L’Italia ha vissuto per un periodo la “politica dell’ossimoro”: da un lato, uscita sconfitta dalla Seconda guerra mondiale ed essendosi riabilitata nel giro di un decennio, non vuole rompere con la Francia; dall’altro lato, la scelta anticoloniale che porta a seguire con empatia la guerra per l’indipendenza algerina. Quest’ultima si è manifestata non soltanto con stampa, televisione, portavoce, pubblicazioni censurate in Francia, ma anche con mobilitazioni di giovani, come per esempio la manifestazione a Roma nel 1957».

 

Figura centrale in questo processo è il fondatore dell’Eni Enrico Mattei da cui parte e deriva oggi la relazione al gas algerino. Riconosciuto come eroe nazionale e martire della rivoluzione dopo la morte a pochissimi mesi dell’indipendenza algerina, lo scorso settembre 2021 il presidente della Repubblica, Abdelmadjid Tebboune, gli ha conferito a titolo postumo la medaglia di Amico della Rivoluzione a riconoscimento dello suo sostegno alla causa. Pochi mesi dopo, in occasione della visita di Stato in Algeria del presidente della Repubblica Mattarella, il 6 e 7 novembre 2021, è stato inaugurato un giardino “Enrico Mattei” ad Algeri e una targa commemorativa. Fino ad allora solo il gasdotto che unisce Italia e Algeria portava il suo nome. «Raro che una personalità straniera sia celebrata tanto quanto Mattei. Ma anche dopo l’indipendenza: l’Algeria ha una memoria lunga e non dimentica che l’Italia è stato uno dei Paesi a non abbandonarla negli anni della guerra civile, il decennio nero degli anni Novanta», ricorda ancora Meddi, il cui romanzo “1994” sulla violenza politica di quel decennio è pubblicato in Italia. «Nonostante la solida base di rapporti tra i due Paesi, non si può tralasciare che la questione del gas mette anche in difficoltà l’Algeria rispetto alla Russia, di cui è partner stretto e principale importatore di armi».

 

A prescindere dall’esportazione di gas, l’Algeria ha bisogno di confrontarsi con il tema dell’energia e del consumo, e dunque con sé stessa. Lo dice bene Ikram, un’attivista ambientalista ed eco-architetta che lavora in diversi progetti culturali in spazi pubblici. «Manca una presa di coscienza e mancano dei decreti attuativi: bisogna sensibilizzare l’opinione pubblica e non accontentarsi della rendita finanziaria dell’Italia o degli altri Paesi che vogliono il gas. In un futuro che sembra lontano, l’Algeria potrebbe essere indipendente dal gas, perché ha anche il vento e il sole come risorse. Ci sono delle start up di energia rinnovabile, ma abbiamo ancora tantissimo da fare». Insomma, Ikram appartiene a un’altra generazione rispetto a Zeina: forse grazie a lei, la fiammella sempre accesa del corridoio si spegnerà.