«Il presidente uscente è favorito al secondo turno anche grazie al sostegno degli scontitti. Ma Le Pen è stata capace di sfruttare a suo vantaggio gli estremismi di Zemmour. Melénchon ha invece aggregato il voto utile a sinistra». Dialogo con Mathieu Fulla, docente di Science Po

«Lo scollamento tra classe media e la sinistra ha permesso a Marine Le Pen di raggiungere il ballottaggio, ma una sua vittoria al secondo turno mi sembra improbabile». Mathieu Fulla, professore a Science Po e autore di “I socialisti francesi e l’economia. Una storia economica della politica”, commenta i risultati del primo turno delle elezioni tenutesi ieri Francia per eleggere il prossimo presidente della Repubblica. Emmanuel Macron ha ottenuto il 27,6 per cento, Marine Le Pen il 23,4: un divario più ampio di cinque anni fa. «Pur avendo condotto una buona campagna elettorale, non è riuscita a convincere gli elettori moderati, che hanno optato un’altra volta per il presidente uscente».

 

Alla fine sarà un’altra volta Emmanuel Macron contro Marine Le Pen. L’attuale è arrivato in testa al primo turno con un margine piuttosto rassicurante, ma comunque più basso rispetto al 30% toccato all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. Come commenta questo risultato?
Ci sono due fattori da considerare: il primo è il fallimento della candidatura di Valérie Pécresse per i Republicains. Una parte consistente del suo elettorato, diffidente dai valori dell’estrema destra di Le Pen e Éric Zemmour, ha trovato più logico esprimere un voto utile per Macron. A giustificare invece la perdita di voti nelle ultime settimane sono stati l’aumento vertiginoso del prezzo della benzina e la caduta del potere d’acquisto come conseguenza della guerra, che pure all’inizio, dato il bisogno di stabilità dei cittadini, l’aveva favorito.

 

Molti analisti, in Italia come in Francia, hanno affermato come l’attuale presidente uscente abbia peccato di presunzione durante la campagna. Si trova d’accordo?
In parte sì: se da una parte ha voluto dimostrare il suo impegno, inevitabile, nel dialogo con Putin per un cessate il fuoco, allo stesso tempo questo suo disinteresse per un confronto alla vigilia delle elezioni, con le difficoltà economiche crescenti e lo scandalo McKinsey (società accusata di evasione fiscale che ha fornito consulenze al suo governo, ndr), è stato percepito come una fuga dal confronto. E questo sembrava poter favorire Le Pen.

 

Come giudica la campagna elettorale di quest’ultima?
La sostanza del programma, dall’immigrazione alla sicurezza, non è poi cambiata così tanto rispetto al 2018. Per quanto riguarda invece la strategia di comunicazione, ha sfruttato l’estremismo di Zemmour, dalla teoria della sostituzione etnica alla proposta di legge sui nomi francesi, per consolidare il suo processo di dédiabolisation. È riuscita, concentrandosi sui temi del potere d’acquisto e della riduzione della Tva (equivalente dell’Iva, ndr), ad apparire come una femme d’état, suo slogan elettorale. Una donna vicina alla popolazione e pronta a governare.

 

In terza posizione, con il 22 per cento dei voti, si è piazzato invece Jean-Luc Melénchon, che ha rischiato di essere la grande sorpresa di queste elezioni. Nonostante alcune uscite controverse sull’invasione russa, è stato l’unico candidato di sinistra con una chance di andare al ballottaggio. Scelta vincente quella di correre da solo?
Melénchon non concepisce un’idea di unione a sinistra, a meno che non sia lui stesso a esserne il capo. Si tratta di un leader forte, che ha fondato il suo partito, la France Insumise, dopo una scissione dal partito socialista, volendo disancorarsi dalla sinistra di governo. Da un lato, alcune proposte estremiste, dall’uscita dalla Nato a una nuova costituzione per una sesta repubblica, hanno allontanato gli elettori di sinistra tradizionale; dall’altro, in termini di contenuto e capacità di comunicazione, è stato lui a fare la migliore compagna tra le forze di sinistra. Greenpeace, per esempio, ha nominato lui e Yannick Jadot, candidato dei verdi, come i due programmi più seri e ambiziosi sulla transizione ecologica. Per ultimo, nella frammentazione di sinistra ha contato l’idea del voto utile: un numero sostanzioso di persone, anche se magari si sentivano più rappresentati da Anne Hidalgo, sindaca di Parigi e candidata del Partito socialista o Jadot, hanno virato su Meléchon in quanto unico candidato in grado di porre una seria alternativa a Macron e Le Pen.

 

Quei voti di distanza da Le Pen si possono spiegare con la perdita, da parte della sinistra, della rappresentanza della classe operaia. Quali sono in Francia le ragioni di questo scollamento?
È un processo che comincia in Europa negli anni ’80, con la fine dell’industrializzazione. L’elettorato che votava a occhi chiusi comunista e socialista si è trovato spaesato. I partiti socialdemocratici hanno poi favorito una costruzione europea fondata sul mercato e la mondializzazione, sull’idea neoliberista di trattare lo Stato come un’impresa. Molte persone hanno perso il lavoro ma anche i loro punti di riferimento, non si sentono più rappresentate. In Francia, in particolare, oltre alla classe operaia, sono i piccoli e medi funzionari pubblici. Un insieme di cittadini che si è diretto principalmente verso l’estrema destra.

 

O che piuttosto preferisce non votare: il tasso di astensione si aggira attorno al 27 percento, cinque punti in più rispetto al 2017...
Assolutamente, è un aspetto non trascurabile. È lo stesso motivo per cui alle elezioni del 2002, vinte da Chirac, con il tasso di astensione al 30%, al secondo turno ci è andato Jean-Marie Le Pen, padre di Marine, e non il candidato socialista Lionel Jospin. Quest’anno senza dubbio chi non è andato alle urne ha favorito Macron.

 

Macron che quindi è riuscito un’altra volta a convincere l’elettorato moderato, sia di destra che di sinistra?
La vittoria del suo partito, “En Marche”, nel 2017, ha scombussolato questa dicotomia. Ma bisogna anche fare chiarezza: l’attuale presidente occupa chiaramente, a livello economico e sociale, lo spazio politico della destra. Lo si vede dalle leggi sulla sicurezza e sull’immigrazione e dalle proposte di alzare l’età pensionabile da 62 a 65 anni e di condizionare il reddito di solidarietà (Rsa) all’esercizio di un lavoro. L’ha detto sempre tra l’altro, alla stampa o in confidenza: ho un ethos di destra, e comprendo le istanze di questo elettorato. Non a caso Pécresse l’ha accusato più volte di aver copiato il suo programma elettorale.

 

I candidati perdenti hanno già dato le loro indicazioni di voto: Zemmour spinge il suo elettorato verso Le Pen, Pécresse, Hidalgo e Melénchon - quest’ultimo affatto scontato - verso Macron. Chi vincerà alla fine?
Da storico tendo a diffidare dei pronostici. Ma alla luce di questo risultato e della forbice molto più ampia dei 2-3 punti che i media pronosticavano, penso che Macron otterrà il suo secondo mandato da presidente della Repubblica.