Non c’è stata l’attesa onda rossa dei Repubblicani. Che si avviano a vincere alla Camera ma non al Senato. La vittoria di Fetterman in Penssylvania ribalta il bilancio della notte

Ieri si è votato in America. E, al contrario delle aspettative, per i democratici, è stata un'ottima notte.
Tutti avevano scommesso sulla loro disfatta, sul fatto che avrebbero perso sia la Camera che il Senato. Invece, dopo una notte di spoglio la camera è in bilico e se sarà persa, sarà persa di un soffio, il Senato invece (che è la cosa più importante) è al sicuro: John Fetterman ha vinto in Penssylvania, mettendo di fatto al riparo la maggioranza democratica che ora, male che vada, rimarrà com'è, cioè pari. Ma che, addirittura, potrebbe crescere (se il candidato in Georgia dovesse vincere).


La notizia della vittoria di Fetterman, arrivata quando in Italia era già mattina, ha definitivamente ribaltato il bilancio della notte, partita malissimo per i dem e poi man mano che i voti venivano spogliati, rimessasi in carreggiata per il Presidente Biden.

Così, nella notte che doveva essere quella della Red wave e del grande ritorno dei trumpiani, la destra americana conta le sue vittorie, consapevole che, anche sommandole, non ne faranno una.

Nel loro carniere i Repubblicani dell'ex presidente mettono la vittoria della gara per i governatori in Texas e Georgia, mai state davvero in discussione, ma grande speranza (o meglio desiderio proibito) dei dem. Lì correvano per scippare lo stato ai repubblicani due candidati di grande carisma e popolarità (forse più nazionale e mediatica che locale e concreta) Beto O'Rourke e Stacey Abrams. Entrambi si sono fermati molto al di sotto delle aspettative (soprattutto Abrams, in Georgia, che ha raccolto molti meno voti del suo compagno di partito candidato al senato, Raphael Warnok).

Oltre a questo, sempre nel carniere dei repubblicani, si può inserire una quasi certa vittoria alla Camera (i risultati definitivi arriveranno nel corso della giornata di oggi, forse). Controllare la Camera, per i Repubblicani, significa molto (per esempio in termini di inchieste su Trump o sulla possibilità di azzoppare l’agenda Biden), ma non tutto. Per quello, per avere “tutto”, è necessario controllare il Senato. E, al momento, il Senato non c'è.
Nella casella delle vittorie repubblicane, ma non Trumpiane, infine, va il capolavoro politico compiuto dal governatore della Florida Ron DeSantis, riuscito a stravincere in uno stato tradizionalmente in bilico, assicurandosi il voto contemporaneo sia della comunità latina che di quella bianca e benestante. Un capolavoro che non è da ascrivere a una sua particolare capacità di mediazione o a un suo presunto centrismo. Anzi. DeSantis non è per niente centrista. Al contrario, ha posizioni estremiste e tossiche come, se non addirittura più, di quelle di Donald Trump. Ma è carismatico, trasmette una sensazione di efficienza e concretezza e ha gestito in un modo che è stato percepito buono il disastro dell’uragano Ian. Donald Trump, che fino a pochi mesi fa lo considerava un buon alleato, di recente ha preso a detestarlo. Più o meno da quando DeSantis ha iniziato a ventilare l’ipotesi di candidarsi alle primarie repubblicane per il 2024.

Vittorie di peso, ma che scompaiono di fronte alla magnitudo della vittoria democratica in Pennsylvania e che si affianca ad altre, minori ma simboliche, messe in fila dai dem, come quella del primo governatore nero del Maryland, Wes Moore; o di Maura Healey, in Massacchussets, prima governatrice lesbica dichiarata dell'intero Paese; oppure ancora, del primo deputato della Generazione Z, Maxwell Alejandro Frost di 25 anni, eletto a Orlando.

Eppure nessuno di questi è il vero punto. Il vero punto, per i dem, la loro vera vittoria a questo punto della notte americana che diventa alba in Italia è che sono ancora vivi e in forma. E non era per nulla scontato.