Più del dieci per cento del fabbisogno annuo italiano viene da Baku grazie ad accordi con Eni e Snam. Una partnership che ci permette di ignorare il conflitto in corso e anzi, di favorire una delle parti

Le guerre non sono tutte uguali. Non solo dal punto di vista militare, simbolico o per il numero di caduti; ma per le reazioni che generano nella comunità internazionale. Ciò che sta accadendo tra Armenia e Azerbaijan è l’ennesima riprova che gli interessi economici e la contingenza influenzano i leader mondiali molto di più di concetti indefiniti come l’etica. D’altronde, sia la guerra in Ucraina, sia la debolezza russa hanno implicazioni dirette con le reazioni occidentali alla crisi caucasica e, in questo contesto, l’Italia ha un ruolo tutt’altro che marginale.

 

Il nostro governo, infatti, è il principale partner commerciale dell’Azerbaijan tra gli Stati europei e uno dei primi al mondo con un volume di importazioni pari al 30,1 per cento dell’export totale di Baku. Di cosa si tratta? Idrocarburi, ovviamente. Più del 10 per cento del fabbisogno annuo italiano di gas proviene dall’Azerbaijan, il quale detiene circa il 20 per cento del totale delle riserve mondiali di gas, oltre a essere un importante esportatore di petrolio. Tramite i gasdotti, Scp (South Caucausus pipeline), Tanap (Trans Anatolian Pipeline) e Tap (Trans Adriatic pipeline), gli idrocarburi arrivano fino alle coste pugliesi di Melendugno partendo dai giacimenti del Mar Caspio, deviando per la Georgia, attraversando tutta la Turchia e infine per la Grecia e l’Albania. Si noti che l’Eni ha un ruolo di primo piano in diversi accordi con l’azienda statale di idrocarburi azera, la Socar, e che il Tap ha come azionista di maggioranza l’italiana Snam.

[[ge:rep-locali:espresso:372087355]]

Entrato in funzione a fine 2020, il Tap ha una portata di 10 miliardi di metri cubi di combustibile all’anno (teoricamente raddoppiabili in futuro) e nel 2021 ha immesso nel sistema energetico italiano 7,2 miliardi di metri cubi di gas azero. Inoltre, secondo i dati di un rapporto dell’Unem, il greggio azero rappresenta circa il 20 per cento del totale importato dall’Italia su base annua (con un picco nel 2021 del 23 per cento e una flessione nell’anno in corso, 16,4 per cento).

 

Il 20 febbraio dell’anno scorso, con il governo Conte ancora in carica, il presidente della Repubblica dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, è atterrato in Italia per la prima visita ufficiale di un capo di stato azero nel nostro Paese. Al Business forum di Roma ospitato dalla Farnesina sono stati siglati 18 nuovi accordi di partenariato tecnologico e commerciale tra i due Stati e si è anche firmata una “Dichiarazione congiunta sul rafforzamento del partenariato strategico multidimensionale” che riveste un’importanza politica molto significativa alla luce degli sviluppi della cosiddetta «questione armeno-azera». Infatti, in sordina, l’Italia si è lentamente allontanata dalle posizioni della presidenza del cosiddetto Gruppo di Minsk dell’Osce, costituito da Usa, Francia e Russia nel 1992 al fine di trovare una soluzione politica (e pacifica) al conflitto del Nagorno-Karabakh.

 

Gli Usa l’anno scorso hanno riconosciuto il «genocidio armeno» in una cerimonia ufficiale che ha molto indispettito la Turchia. La Francia è storicamente un Paese molto legato all’Armenia, sia a causa della diaspora, sia per la forte influenza delle élite culturali di origine armena, di cui faceva parte il famoso chansonnier Charles Aznavour. La Russia ospita più di 1,5 milioni di armeni sul suo territorio ed è legata a Yerevan nella Comunità degli Stati Indipendenti e tramite il Csto, l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva, un’alleanza militare di 6 Stati dell’ex-Urss. In molti credevano che l’Azerbaijan non si sarebbe arrischiato ad attaccare l’Armenia direttamente per paura della reazione russa, ma con la guerra in Ucraina il Cremlino ha altre priorità.

 

E poi c’è la Turchia, principale alleato dell’Azerbaijan. La fornitura di droni Bayraktar Tb2 a Baku ha determinato una schiacciante superiorità aerea durante l’ultima guerra decimando le truppe armene che non avevano adeguati sistemi di difesa. Il presidente turco Erdogan vede il sogno di realizzare un’area di turcofoni sotto la sua egida che vada dal Mediterraneo al Mar Caspio e comprenda Azerbaijan e Turkmenistan. L’unico ostacolo è, appunto, l’Armenia, o almeno la zona sud del Paese, quella sottile striscia di terra che divide l’Azerbaijan dall’exclave del Nakijevan, confinante direttamente con il territorio turco. Appropriarsi di questo territorio aprirebbe per Ankara e Baku una serie di prospettive commerciali enormi. E, si badi bene, non stiamo parlando di un’ipotesi tanto remota.

[[ge:rep-locali:espresso:362136494]]

Tornando all’Italia, oltre agli accordi commerciali, negli anni Roma ha gettato le basi anche per collaborazioni nel campo della Difesa. Il 6 novembre 2012 è stato firmato tra il nostro governo e quello azero un “Accordo sulla cooperazione nel settore della difesa”, ratificato il 9 gennaio 2017. Pur non trattando direttamente della fornitura di armamenti, al punto 3 dei “campi” si legge «ricerca e sviluppo, supporto logistico ed acquisizione di prodotti e servizi per la Difesa» e nell’articolo 6, riguardante la «cooperazione nel campo dei materiali per la Difesa» si parla di «approvvigionamento di materiali militari rientranti nell’ambito di programmi comuni e produzione, ordinate da una delle Parti, conformemente alle rispettive leggi nazionali in materia di importazione ed esportazione di materiali per la Difesa». Si ha traccia evidente di una sola fornitura militare all’Azerbaijan negli ultimi 10 anni e si tratta di due radar avionici di sorveglianza marittima “Gabbiano T20” e “T200” venduti dall’azienda “Selex es” nel 2013. Nelle relazioni governative (Maeci e Dogane), tuttavia, questi strumenti sono stati poi catalogati come «Apparecchiature per la direzione del tiro».

 

Anche se non se ne ha conferma nelle relazioni ufficiali, nel 2012 l’ “AugustaWestland”, controllata dall’italiana “Leonardo” stanziata all’estero, potrebbe aver fornito degli elicotteri militari al governo azero. Così come molte testate specialistiche nel febbraio 2020 (6 mesi prima dello scoppio della guerra nel Caucaso) davano per concluso l’accordo tra l’Azerbaijan e l’Alenia Aermacchi per la fornitura di 12 velivoli da addestramento M-346 Master. I media azeri in tale occasione parlarono anche di un’opzione per altri 12 aerei, nella versione “FA”, utilizzata per gli attacchi al suolo. Nella relazione del Senato italiano «sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento» del 5 aprile 2022 riferita all’anno 2021 si legge una sola «Autorizzazione materiali armamento» per l’Azerbaijan ma il valore monetario indicato è “0”, quindi potrebbe trattarsi anche di interventi di manutenzione o di altro tipo di supporto.

 

Inoltre, nel Rapporto dello Studio Ambrosetti del 2018 sull’azienda “Leonardo”, alla nota 61 si fa presente che: «Entro il 2022 è prevista l’apertura di uffici di rappresentanza di Leonardo in: Algeria, Angola, Azerbaijan» e diversi altri Stati che negli indici di democrazia internazionale sono ai posti più bassi della graduatoria. L’Azerbaijan, ad esempio, è al 141° posto tra 167 Stati analizzati, accomunato ai «regimi autoritari» di Russia, Bielorussia e dei Paesi centro-asiatici.

 

È significativo notare che nella relazione del Senato italiano c’è una nota: «Nel 1992 la dichiarazione del Comitato alti funzionari Osce invita a non cedere o fornire armamenti alle forze impegnate nelle zone del conflitto nel sud-ovest dell’Azerbaijan, nella regione Repubblica del Nagorno-Karabakh, tra la maggioranza etnica armena - sostenuta dalla Repubblica Armena - e la Repubblica dell’Azerbaijan». Tuttavia, sembra che il comportamento dei governi italiani, da Monti a Draghi, sia orientato più ad aggirare quest’embargo in nome dei propri interessi energetici. Del resto, l’Italia non è la sola: a luglio la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha visitato la capitale azera e in un incontro con il presidente Aliyev ha parlato di «approfondire le relazioni bilaterali» in nome di un accordo «stabile e duraturo sull’energia».