A Maiduguri, nel nord Ovest della Nigeria, donne e bambini vivono circondati dagli uomini della feroce setta islamista. Con l’unica difesa di una piccola milizia di volontari

Gli orologi sono tutti fermi nella vecchia stazione di Maiduguri, capitale dello stato del Borno, nord est della Nigeria. Questo edificio bianco e verde, un tempo caotico e frenetico, da cui partivano i treni che mettevano in comunicazione il Sahel con il centro e il sud del Paese, adesso è un tempio dell’abbandono, un’istantanea della guerra, una raffigurazione della crisi umanitaria che ha travolto lo stato più popoloso d’Africa.

 

Non ci sono più mercanti carichi di merce, viaggiatori avvolti in jalabie e donne vestite in hijab colorati ad attendere il proprio convoglio tra un vociare vivo e incessante e un odore intenso di incensi e spezie: adesso è tutto finito, irrimediabile e perduto. Nella sala d’attesa si sente solo l’urlo dell’harmattan, il vento caldo del Sahel che sferza la regione e rieccheggia nell’edificio vuoto come un grido spettrale, e in ogni dove si osservano unicamente gli occhi terrorizzati e rassegnati di centinaia di persone che hanno popolato la Railway Terminus perché in fuga dalle violenze della setta jihadista Boko Haram.

 

Alcune donne giacciono su delle stuoie, dei bambini corrono sui binari abbandonati e degli uomini silenziosi si trascinano come ombre trasportando sacchi di aiuti umanitari. In piccoli antri bui, tra tende logore e lamiere, vivono intere famiglie prigioniere dell’attesa, della canicola e della fame e là, dove una volta c’era la biglietteria, adesso c’è il giaciglio di Mohamed.

 

Ha poco più di trent’anni, è estremamente magro, il suo sguardo è fisso nel vuoto e prega tenendo in una mano il tasbih, il rosario musulmano. «Io sono qui da solo, ho perso tutto: il mio lavoro, la mia vita, la mia famiglia. Sono originario di un villaggio vicino a Maiduguri e quando i terroristi sono arrivati e hanno ucciso decine di persone sono fuggito e ho trovato riparo qua, in questo luogo dove mi trovo ora. L’intera città è circondata dagli uomini di Boko Haram e nessun posto è sicuro perchè loro sono degli assassini che ucidono tutti: forze dell’ordine, soldati, civili, cristiani, musulmani, innocenti... Sono assassini e basta. Io non so quale sarà il mio futuro, non posso fare altro che stare qua e pregare Allah».

 

Il rumore delle perline di legno ritma il salmodiare delle preghiere, e Mohamed con lo sguardo perso nel vuoto, appare immobile, come le lancette dell’orologio della stazione ferme a un passato a cui non ha mai fatto seguito un presente e nemmeno un futuro. Ferme a quell’istante del 2009 quando la città di Maiduguri si è svegliata tra spari ed esplosioni: il giorno dell’inizio dell’insurrezione islamista della setta Boko Haram che in dodici anni ha causato 350mila morti, 4 milioni di sfollati e una crisi umanitaria che stando ai dati dell’Ocha (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs), ad oggi vede 7,7 milioni di persone con un disperato bisogno di assistenza umanitaria, e metà di queste sono bambini.

 

Se in Medio Oriente lo Stato Islamico sembra essere stato sconfitto, non si può dire lo stesso per quel che riguarda il continente africano dove il Califfato si sta affermando e rafforzando e, nel nordest della Nigeria e nella regione transfrontaliera del Lago Ciad, ha creato il suo fortilizio di terrore. Maiduguri è stata la culla e l’incubatrice dell’estremismo salafita nel Sahel, è qui che nel 2002 Mohamed Yusuf ha dato vita al gruppo radicale che nel 2009 è passato dalla violenza delle predicazioni a quella dell’insurrezione armata divenendo una delle formazioni più temute e feroci all’interno della galassia dell’internazionalismo jihadista.

 

Ma per comprendere le origini del gruppo Boko Haram, il cui nome in lingua hausa significa l’educazione occidentale è proibita, (boko è una storpiatura della parola book, che significa libro in inglese, e haram è il termine che indica tutto ciò che è vietato dal Corano), occorre fare un ulteriore passo indietro sino al 1999, quando Olusegun Obasanjo, ex generale, cristiano e uomo del sud, è diventato presidente della Nigeria. Obasanjo, appena preso il potere, ha cercato di frenare lo strapotere delle lobby musulmane del nord che sino a quel momento detenevano le redini del comando dirottando i proventi del greggio delle regioni meridionali nelle casse settentrionali. Con l’insediamento ad Abuja del nuovo governo, i clan e le famiglie musulmane, privati dei propri privilegi, hanno utilizzato la religione e il radicalismo come arma di ricatto nei confronti dell’esecutivo di Obasanjo ed è stato grazie a sovvenzioni di politici e affaristi locali che nel 2002 ha preso vita a Maiduguri la setta Boko Haram capeggiata dall’imam Mohammed Yusuf. Il gruppo nei primi anni si è mostrato estremamente radicale e il furore delle predicazioni dell’imam ha attirato moltissimi giovani, ma la metamorfosi definitiva è avvenuta nel 2009 quando Yusuf è stato ucciso dalle forze di polizia e la leadership è stata presa da Abubakar Shekau e ha avuto inizio così una delle ribellioni jihadiste più longeve e spietate della nostra contemporaneità.

 

La formazione salafita negli anni ha compiuto massacri indiscriminati in tutta la regione, è stato il primo gruppo terrorista a utilizzare i bambini come attentatori kamikaze, è salita alla ribalta delle cronache per i rapimenti degli studenti e delle studentesse nelle scuole, come accaduto nel 2014 a Chibok, e nel 2015 ha dichiarato la sua fedeltà allo Stato Islamico di Al-Baghdadi. L’adesione al Califfato di Raqqa però ha causato una scissione interna nel gruppo e ad oggi permangono due formazioni armate nate in seno a Boko Haram. Da un lato c’è la vecchia guarda che conta tra i 1550 e i 2000 uomini e che fa dell’uso sistematico, indiscriminato e atroce della violenza il mezzo con cui portare avanti la propria guerriglia.

 

Dall’altro lato c’è il gruppo guidato da Abu Abdullah Al Barnawi, che ha preso il nome di Iswap (Islamic State West African Province, Provincia dello Stato Islamico dell’Africa Occidentale), forte di quasi 5000 irregolari e che ha adottato i dogmi politci e religiosi degli jihadisti siriani e sta dando vita a un vero e proprio stato islamico nella regione costruendo scuole e ospedali, avviando un sistema di tassazione e creando un sistema statutale la dove questo era assente.

 

Oggi Maiduguri è accerchiata e contesa da entrambe le formazioni. Maiduguri è la capitale proibita del Califfato nigeriano, la rivoluzione salafita qui è germogliata ma sin dagli albori dell’insurrezione i combattenti sono stati cacciati dalla città e da più di dieci anni la cingono d’assedio e la colpiscono con attacchi con mortai, incursioni di commandos e azioni kamikaze. Nel centro abitato è nata una milizia di cittadini volontari che danno supporto ai soldati dell’esercito regolare nell’intercettare gli infilitrati jihadisti e nel combattere sulla linea del fronte.

 

Gli uomini della Civilian Join Task Force procedono su un pick up tra le vie cittadine con le armi spianate. Volontari di ogni età e professione imbracciano armi automatiche e si dirigono in prima linea. L’orrizonte e le sabbie sono infinite e l’unica demarcazione tra le terre sotto controllo dei terroristi e quelle in mano al governo è un terrapieno su cui sono stati collocati una mitragliatrice e diversi sacchi di sabbia. I vigilantes non smettono di tenersi in contatto via radio con le altre postazioni e lo sguardo è sempre concentrato nello scrutare, attraverso la scanalatura del mirino, ogni movimento in lontananza.

 

«Questa è la linea di confine tra noi e Boko Haram. È un punto molto caldo perché è da qui che gli jihadisti entrano in città. Sappiamo tutti che stiamo correndo un rischio, ma non possiamo esimerci dal farlo. È necessario il nostro contributo per difendere la nostra gente e la Nigeria».

 

Iaku Mohamed, uno dei leader della Cjtf, spiega chi sono i suoi uomini proprio mentre dà ordini e riceve informazioni: «Nella mia task force ci sono sia cristiani che musulmani, la guerra di Boko Haram ci coinvolge tutti ma per fermare l’avanzata dei terroristi non bastano le armi, occorre anche difendersi con la conoscenza e lo sviluppo. I terroristi approfittano dell’analfabetismo e dell’ignoranza per fare proselitismo e allargare le proprie fila. In cambio di una piccola paga e promesse di gloria attirano moltissimi ragazzi e li indottrinano con falsi insegnamenti».

 

Le parole del comandante della Civilian Join Task Force trovano conferma in quanto racconta, poco dopo, Micalel Hameth, incontrato nella sangaya (scuola coranica in Nigeria), in cui insegna. Decine di bambini scrivono, recitano e apprendono i precetti del libro sacro. Alunni con indosso jalabie bianche e bambine avvolte negli hijab verdi studiano e trascrivono le sure su tavole di legno e intanto il maestro invita gli studenti a salmodiare i versi del Libro Sacro che hanno appena trascritto.

 

Mentre un coro unanime di bambini si solleva Hameth racconta: «Quello che per noi è prioritario è dare un’educazione a questi bambini e garantire loro due pasti al giorno. In città vedrete molti ragazzini e fanciulli mendicare. Non sono studenti coranici, perchè a loro è proibito chiedere l’elemosina, sono sopratutto ragazzi originari delle tendepoli ed è a loro che guarda Boko Haram per fare proselitismo e reclutare adepti. La guerra contro Boko Haram deve essere combatutta su più fronti ma solo quando avremo sconfitto l’ignoranza e la fame avremo sconfitto definitivamente anche il terrorismo».