Pedro Marques, vice presidente dei socialisti europei, si dice soddisfatto dei risultati ottenuti. Ma non nasconde i timori per la presidenza della Slovenia

Pedro Marques, il portoghese vicepresidente dei socialisti europei, tira le somme di un semestre positivo di presidenza portoghese. «Come da accordi, abbiamo portato avanti il lavoro iniziato dalla presidenza tedesca. Il nostro risultato più importante riguarda il pilastro europeo dei diritti sociali, su cui lo scorso mese nel summit di Porto abbiamo fatto grandi passi in avanti rispetto al summit sociale del 2017 a Gothenburg, durante il quale erano state espresse le linee guida ma non si era deciso nulla di concreto. Adesso abbiamo un piano di azione dettagliato da qui al 2030». Almeno il 78 per cento delle persone tra i 20 e i 64 anni dovranno avere un lavoro; il 60 per cento degli adulti dovrà partecipare a un momento di formazione annuale e il numero di persone a rischio povertà o esclusione sociale dovrà essere ridotto di almeno 15 milioni, inclusi 5 milioni di bambini. «Questo è il frutto di una presidenza che ha una buona relazione con la Commissione».

 

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Per adesso però siamo ancora allo stadio di piano di azione, un po' come per la Conferenza sul futuro dell'Europa...

«Ma alla fine con noi portoghesi la Conferenza è partita e non era scontato, visto il blocco che c'era stato per due anni! L'anno prossimo dovremo vedere i risultati e cominciare a lavorare sulle richieste dei cittadini. Aggiungo poi che sotto la presidenza portoghese l'Europa ha varato anche la legge Clima, un tassello cruciale della transizione ecosostenibile, soprattutto ora che gli Usa hanno ripreso a essere presenti sulla scena internazionale con iniziative proprie. Infine in questi sei mesi siamo riusciti anche a trovare un accordo sulla trasparenza fiscale dopo anni di lavoro. Certo, l'accordo sarebbe potuto arrivare sotto la presidenza tedesca ma la CDU (i conservatori di Angela Merkel) era fortemente contraria e non voleva che la Germania si intestasse questo obiettivo. Ora finalmente le grandi aziende internazionali dovranno dire dove pagheranno le tasse in Europa e nei paradisi fiscali extra europei».

 

La maggiore critica in proposito è che in realtà le multinazionali nascondono gli utili in Stati che non sono considerati paradisi fiscali dalla Ue...

«Il problema però non è più la trasparenza ma il fatto che la lista nera europea dei paradisi fiscali è datata e deve essere aggiornata. Qui però ci scontriamo con l'opposizione di tanti stati membri che andrà superata un passo alla volta. In Austria ad esempio un'ampia coalizione politica ha oggi costretto il governo a votare in favore della CBCR (la trasparenza fiscale) e anche la Croazia ha cambiato al sua posizione».

 

Conferma le voci che il primo Recovery plan approvato dalla Commissione sarà quello portoghese?

«Sembra proprio di sì. Siamo stati i primi a presentarlo e potrebbe essere approvato entro questo mese così le risorse potranno arrivare davvero a luglio».

 

Un anno e mezzo dopo lo scoppio dell'epidemia...

«Non sono contento della lunghezza dei tempi ma la colpa è solo della lentezza burocratica delle Istituzioni non della presidenza di turno».

 

Come vede la prossima presidenza slovena?

«Con timore. Il dialogo con il primo ministro sloveno è difficile. Faccio l'esempio di qualche giorno fa quando, durante un incontro con gli europarlamentari, anziché dialogare avrebbe voluto farci vedere un video propagandistico. Quando gli è stato detto che era contrario allo spirito dell'incontro ha preso e se ne è andato».

 

Dunque il prossimo sarà un semestre complicato?

«Molto probabilmente. Le iniziative slovene, come il vertice sul clima di Glasgow, l'allargamento a Est e la relazione con Russia e Stati Uniti, vanno bene. Ma il primo ministro non può pretendere di ignorare per sei mesi i problemi legati allo stato di diritto nel suo Paese, in Ungheria, in Polonia e anche in Bulgaria. Ne parleremo settimana prossima nella seduta plenaria di Strasburgo. È una vergogna che i popolari stiano zitti e muti sull'argomento. Ancora una volta».

 

Condivide l'ottimismo della Commissione sulla crescita economica nel prossimo biennio?

«Non interamente. Anche sei mesi fa era ottimista e poi la crisi economica è perdurata. È vero che ora ci sono i vaccini ma avrei preferito uno stimolo fiscale maggiore, come quello messo in campo dagli Usa».

 

Dove l'inflazione sta però esplodendo...

«Troppo presto per preoccuparsi. Il problema oggi non è l'inflazione ma la crescita dei posti di lavoro e la ripresa».