Sull’isola è stato inaugurato il centro ad accesso chiuso e controllato per tremila persone. «Si preparano a un massiccio arrivo di rifugiati dall’Afghanistan. Da qui a fine anno sarà un macello»

«Non sei contento di trasferirti? Lì è più grande, ci sono anche i campetti per giocare a basket». Il ragazzo siriano accenna una smorfia al poliziotto che presidia l’area intorno al vecchio campo profughi. Siamo a Vathy, capoluogo di Samos, una delle isole più settentrionali della Grecia, a pochi chilometri dal confine turco. È proprio qui che sabato 18 settembre è stato inaugurato il nuovo centro “ad accesso chiuso e controllato” per rifugiati. Doppia parete di filo spinato a circondare l’intero perimetro, torrette di sorveglianza, migliaia di telecamere, scanner a raggi X, porte magnetiche, tornelli.

Sembra un carcere ma alla presentazione ufficiale, alla presenza delle autorità di Atene e di Bruxelles, è stato descritto come un grandioso progetto all’avanguardia per l’accoglienza europea. «Qui le persone staranno meglio e saranno libere di uscire dalle 8 alle 20», ha voluto precisare il segretario generale per l’asilo presso il ministero greco della migrazione Manos Logothetis. Peccato però che il nuovo centro sia stato costruito in cima a una collina a Zervou, nella parte più remota dell’isola. Per arrivarci in macchina da Vathy occorre un quarto d’ora tutto in salita, mentre a piedi il primo centro abitato è a un’ora e mezza di distanza, che diventano due ore al ritorno con la strada in forte pendenza.

«È una trappola: di fatto saranno prigionieri di una struttura che emargina i migranti e li allontana da tutte le attività che in questi anni li hanno impegnati in città», commentano gli abitanti dell’isola, che in questi giorni hanno protestato contro l’apertura del centro. Già, perché qui verranno via via spostati tutti i 700 abitanti del vecchio campo, che si trova proprio nel centro di Vathy. La notte precedente ai primi trasferimenti, tra le baracche è scoppiato un grosso incendio appiccato per protesta, perché quasi nessuno dei residenti vuole farsi rinchiudere così lontano.

Il sole è a picco, fa caldo. Nel nuovo centro non ci sono né alberi né coperture, è una immensa distesa di cemento e baracche che in inverno sarà probabilmente ancora più spaventosa. Tra i due livelli di recinzione passa una strada su cui sfrecciano le auto della sicurezza privata che controllerà il centro, faranno una ronda 24 ore su 24 e ci saranno le vedette sulle torrette di avvistamento. Solo quando dormiranno i migranti non saranno sorvegliati.

I dormitori sono corridoi lunghi con stanzette da un lato e dall’altro, in ognuna ci sono cinque letti, ma i bagni sono fuori, in comune. La capienza massima è di 3mila persone, uno spazio enorme che probabilmente si riempirà velocemente. «Dicono che porteranno qui dei profughi dalla terraferma e svuoteranno un po’ Lesbo», confida in segreto un operatore di Frontex: «Ma credo che si preparino a un arrivo massiccio dall’Afghanistan. Credo che da qui a fine anno anche questo centro diventerà un macello». All’ingresso sventolano la bandiera greca e quella dell’Unione europea, perché il centro di Zervou è stato finanziato interamente da Bruxelles e rappresenta il primo esempio di altre quattro strutture che l’Unione europea aprirà nelle isole di Lesbo, Chios, Leros e Kos. Spesa totale 276 milioni di euro.

A Samos gli ultimi sbarchi dalla Turchia sono avvenuti in agosto e la popolazione del campo è cresciuta fino a settecento persone. Poche in più rispetto alla capienza di 680, mentre tra il 2015 e il 2016 hanno vissuto insieme settemila persone, accampate anche ai bordi dell’insediamento ufficiale, senza acqua, con pochi servizi, tra topi e sporcizia. La situazione oggi è più tranquilla anche se gran parte di coloro che sono ancora qui, a Samos, vive sull’isola ormai da tre, quattro, anche cinque anni. Sono migranti afghani, siriani, della Costa d’Avorio la cui domanda d’asilo è bloccata, dispersa nei meandri della burocrazia ateniese. E così, nel corso del tempo, quelli che sono arrivati bambini sono diventati adolescenti, parlano greco e vanno a scuola. Ora nel nuovo campo la scuola non c’è.

«Questo nuovo centro è solo una vetrina per l’Europa, ma in realtà rappresenta un peggioramento della vita per i migranti», racconta uno degli attivisti della Ong Samos Volunteers: «Nel nuovo centro non c’è uno spazio sicuro per le donne, non ci sono meccanismi di protezione, in particolare per la vita, la sicurezza e la salute mentale dei profughi Lgbtqi+ che saranno ora ulteriormente tagliati fuori dalle reti di solidarietà. Inoltre è totalmente inapplicato il diritto all’istruzione per tutti i bambini e gli adulti confinati all’interno del campo». Con il trasferimento, dicono le associazioni, tutte le reti di solidarietà vengono allentate, con un ulteriore impatto anche sulla salute mentale dei rifugiati. Medici Senza Frontiere si occupa dei migranti a Samos da anni, con un punto di assistenza proprio a pochi passi dal vecchio campo, nel centro di Vathy. Ora che è stato aperto il nuovo centro, però, l’intero team sta organizzando un altro accampamento più vicino.

«È necessario essere sul posto», spiega Dora Vangi di Msf Grecia mentre mostra le tende in allestimento. Adattare lo spazio è un lavoro complesso, perché sul crinale della collina il terreno è molto arido e polveroso e c’è sempre molto vento, una benedizione d’estate ma d’inverno, invece, sarà molto difficile. «Sono mesi che i pazienti della nostra clinica hanno il terrore di essere rinchiusi nel nuovo centro», aggiunge Vangi: «Per coloro che sono sopravvissuti alla tortura, questa nuova sistemazione significherà non solo la perdita della libertà, ma anche il rivivere le passate esperienze traumatiche».

«La maggior parte dei nostri pazienti presenta sintomi di depressione e disturbo da stress post-traumatico», aggiunge Betty Siafaka, psicologa di Msf a Samos. «Tra aprile e agosto 2021, il 64 per cento dei nuovi pazienti che hanno raggiunto la nostra clinica ha presentato pensieri di suicidio e il 14 per cento era a rischio effettivo di suicidio. Speriamo di riuscire a lavorare ancora con loro». Per Msf l’incertezza, il disprezzo per la vita umana e la totale mancanza di una protezione effettiva per i richiedenti asilo sollevano seri interrogativi a cui le autorità greche o europee non riescono a rispondere. Qual è il risultato di tutto questo?

I primi autobus sono arrivati nel nuovo centro il 20 settembre mattina. I migranti sono stati perquisiti ed è stato dato loro un badge magnetico col quale potranno muoversi nel campo. «Adesso sono davvero in prigione», sussurra Jasmina, 44 anni, scappata via dalla Siria e arrivata in Grecia insieme ai suoi due figli. La sua domanda d’asilo è stata respinta già due volte. «Quando ho fatto richiesta per trasferirmi sulla terraferma mi hanno chiesto perché ero in pericolo in Siria, ma poi mi hanno chiesto perché mi sentivo in pericolo anche in Turchia e io a questa domanda non ero preparata». Ed è arrivato un altro rifiuto mentre la pratica si è di nuovo persa nella montagna di richieste.

Il programma dell’Unione europea di “relocation” gestito dal governo greco ha portato in più di un anno al trasferimento in altri Paesi di circa quattromila persone, ma il numero delle richieste è di molto superiore e i tempi si allungano. Intanto l’Europa finanzia i centri come quello di Samos per tenere i migranti sempre più bloccati e nello stesso tempo sovvenziona i governi scaricando su di loro la responsabilità di tenere i migranti fuori dall’Europa: nel Mediterraneo centrale, davanti alle coste libiche, così come su questo lato dell’Egeo.

La sera dell’inaugurazione del nuovo campo, nella piazza di Vathy diversi gruppi hanno organizzato in maniera spontanea una protesta e su uno striscione era scritto: «Questo centro rappresenta il fallimento delle politiche d’accoglienza dell’Europa». «Sbagliatissimo: questo progetto è l’attuazione perfetta della politica europea sulle migrazioni, pensata e concretizzata con l’obiettivo di creare barriere», commenta Simone, di Samos Volunteers.

Barriere e muri. Il governo greco ha terminato lo scorso agosto la costruzione degli ultimi 40 chilometri di muro a Evros, al confine con la Turchia, con un sistema di protezione a tre livelli. «Le nostre frontiere rimarranno inviolabili», ha detto il ministro greco Michalis Chrisochoidis, pronto a respingere tutti gli afghani che scappano dai talebani. «Dov’è il mio diritto inviolabile a non morire e non finire abbrutito in qualche centro di detenzione?». Lo urla Ahmad, poi il tornello si chiude dietro le sue spalle.