Nel Virunga, al confine tra Congo e Uganda, arrivano i petrolieri. E la missione è fermarli, salvando i gorilla di montagna. Ci provano 60 ong locali e internazionali a pochi giorni dall’assegnazione di sei licenze di sfruttamento nell'area del parco, ultimo rifugio di questi poderosi primati dal pelo scuro con venature argentee

Non bastavano bracconieri, ribelli e tagliagole. L’ultima maledizione del Virunga e dei suoi abitanti più vulnerabili, i gorilla di montagna dal pelo scuro e i riflessi d’argento, sono i petrolieri. Ai blocchi di partenza per aggiudicarsi i diritti sui giacimenti nascosti tra le foreste e i vulcani del parco più antico d’Africa, proclamato dall’Unesco patrimonio dell’umanità.

Nel 2014 test sismici hanno confermato la presenza di quantità significative di greggio in questa regione incontaminata al confine tra Repubblica Democratica del Congo e Uganda. Da allora la prospettiva di profitti milionari sta attirando le compagnie di mezzo mondo.

In vista della scelta del governo di Kampala, attesa a fine febbraio, le candidate sono 16: dalla russa African Global Resources alla britannica Tullow Oil, dall’indiana Oil & Natural Gas Corporation alla cinese Brightoil Petroleum, dalla sudafricana Sasol all’emiratina Mdc Oil and Gas.

Le autorità ugandesi sostengono che il petrolio sarà estratto “in modo responsabile”, favorendo lo sviluppo economico e contribuendo a far uscire dalla povertà milioni di persone. Ma gli ambientalisti, dopo tanti disastri africani, non ci credono. E per fermare i petrolieri hanno creato una rete internazionale, mettendo insieme 60 ong, da colossi come Greenpeace e Global Witness a realtà locali, piccole ma decise a far sentire la propria voce.

“Trivellazioni nel bacino del Lago Eduardo avrebbero conseguenze devastanti sia sull’ecosistema del Virunga che sulle comunità di villaggio da entrambi i lati della frontiera” dice a L’Espresso Onesmus Mugyenyi, coordinatore della rete ugandese Advocates Coalition for Development and Environment. L’assunto di base, evidenziato il mese scorso anche in una risoluzione del parlamento europeo, è che i pozzi sono “incompatibili” con lo status di patrimonio dell’umanità e con la sopravvivenza stessa dei tesori del Virunga.

“Negli ultimi anni una maggior consapevolezza delle comunità locali ha reso possibile una lieve crescita della popolazione di gorilla di montagna ma la specie resta comunque a rischio estinzione” sottolinea Mugyenyi: “Lo sfruttamento industriale del parco e delle aree limitrofe li esporrebbe a contatti frequenti con l’uomo e a nuove malattie, cancellando d’un colpo ogni progresso”. Secondo l’Unione internazionale per la conservazione della natura, la popolazione mondiale di questi primati è aumentata dai 620 esemplari nel 1989 ai circa 880 attuali.

Tutte le colonie vivono però in una regione tormentata, dove con le incursioni ribelli e i traffici illeciti sta crescendo la pressione esercitata dall’uomo. Sul versante ugandese la corsa al petrolio è cominciata nel 2006, quando le autorità di Kampala hanno annunciato la scoperta di ricchi giacimenti nel bacino del Lago Edoardo.

Alcune delle concessioni che saranno assegnate a febbraio riguardano proprio questa zona, ai confini orientali del Virunga, destinata a rifornire un corridoio energetico che dovrebbe raggiungere il Kenya, l’Oceano Indiano e i mercati asiatici. Ma l’allarme riguarda anche il lato congolese. In quest’area, cuore del Virunga, la presenza di giacimenti è stata rivelata da Soco International: una società britannica accusata di aver corrotto ufficiali e ranger affinché soffocassero sul nascere ogni opposizione da parte dei pescatori e delle circa 50 mila famiglie dei villaggi.

Gli illeciti sono stati ricostruiti in “Virunga”, documentario prodotto da Leonardo Di Caprio con al centro la figura dell’ambientalista belga Emmanuel De Merode. Un eroe contemporaneo, ferito gravemente in un agguato nel 2014, da anni in prima fila nella lotta a corruzione, pressioni e ricatti scaturiti dall’intreccio di interessi tra multinazionali straniere e soldataglie locali.

Dallo scoppio di quella che è stata definita la Guerra mondiale africana (1998-2003) la posta in gioco sono il coltan, il tantalio e altri minerali strategici per l’industria elettronica, che alimentano i conflitti negando alla popolazione locale qualsiasi beneficio o prospettiva. “Il petrolio è la nuova maledizione” avverte Jean-Luc Blakey, di Global Witness: “La ricerca di guadagni a breve termine, paradossalmente alla luce del crollo dei prezzi del greggio, minaccia le risorse non esauribili sulle quali l’Africa deve costruire il proprio futuro”.

A cominciare dal patrimonio naturale, e dal turismo. Dopo uno stop dovuto alle incursioni delle milizie, lo scorso anno nel Virunga sono ripresi i tour organizzati. A livello nazionale, in Uganda il settore vale già l’8 per cento del Prodotto interno lordo. Le destinazioni preferite sono i parchi, tra savana e picchi innevati. Si possono ammirare okapi e bufali africani e, magari, salendo di quota, dove abbondano bacche e germogli, gorilla di montagna.