Nonostante il caso di Giulio Regeni abbia creato notevoli tensionicon l'Egitto, l'Espresso ha scoperto che il Consiglio Superiore della Magistratura collabora a un controverso progetto europeo per la “modernizzazione” della giustizia in Egitto. E scoppia il caso

È una macchina che produce torture e pene capitali a raffica. Da quando Abdel Fattah al-Sisi ha preso il potere nel luglio 2013 con un colpo di stato, la "Giustizia" egiziana ha emesso quasi duemila sentenze di condanna a morte. Ed è con questa macchina che l'Italia deve fare i conti per arrivare alla verità sull'atroce assassinio di Giulio Regeni. Ma proprio mentre il nostro Paese cerca di far luce sul caso del giovane ricercatore torturato a morte, il Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) è parte di un'iniziativa controversa.

Si chiama "Smaj" (Support to the Modernisation of the Administration of Justice) ed è un progetto per la modernizzazione dell'amministrazione della Giustizia in Egitto finanziato con nove milioni di euro dall'Unione Europea. È stato creato nel 2014 e a portarlo avanti sono: l'organizzazione statale francese per la cooperazione giudiziaria "Justice Coopération International", il nostro Consiglio Superiore della Magistratura, l'organizzazione spagnola per la cooperazione internazionale "Agencia Espagnola de Cooperacion Internacional y Desarollo", e l'agenzia di stato inglese "Northern Ireland Cooperation Overseas", NI-CO.

Obiettivo dichiarato di Smaj è «supportare il ministero della Giustizia e le istituzioni dell'Egitto nella modernizzazione dei loro processi interni, in modo da ridurre l'arretrato e aumentare la qualità dei servizi della giustizia resi ai cittadini». Quali attività preveda esattamente il progetto non è chiaro, ma alcune si possono ricostruire dalle informazioni disponibili sui siti degli enti europei che lo portano avanti. E così si apprende che nel maggio scorso Smaj ha tenuto un workshop con i giudici egiziani della Corte di Cassazione, che non è una corte qualsiasi: è quella a cui possono essere appellate le sentenze capitali. È la Cassazione che prende la decisione finale, di vita o di morte. In che modo Smaj affronta un sistema giudiziario come quello egiziano, dove gravissime violazioni dei diritti umani sono, purtroppo, la regola?

Standard europei?
L'Espresso ha contattato l'organizzazione francese "Justice Coopération International" per chiedere spiegazioni. Laure Dezes ha risposto al nostro giornale: «Il progetto Smaj è un'iniziativa finanziata dall'Europa che punta a portare la giustizia egiziana più vicina agli standard europei e internazionali, modernizzando il sistema dell'amministrazione della giustizia in Egitto. Il progetto non si occupa dell'intero sistema della giustizia penale».

Come può essere compatibile con gli standard europei la formazione di giudici che poi andranno a emettere sentenze di morte non è chiaro, né Laure Dezes lo spiega: «Per quanto riguarda la Corte di Cassazione, Smaj punta a far conoscere le "best practices" europee nel settore delle procedure amministrative, incluso il processo decisionale. Questo è particolarmente importante, considerando che la Cassazione prende le decisioni finali, inclusa lo possibilità di bloccare l'esecuzione di una sentenza o anche cancellarla», ci dichiara Dezes, aggiungendo che «il progetto Smaj non affronta direttamente il problema della pena di morte, perché il sistema della giustizia penale va oltre i suoi scopi. L'Europa e i suoi stati membri ovviamente rigettano la tortura e la pena di morte in ogni circostanza. I valori fondamentali dell'Europa sono soggetti a un dialogo politico tra l'Egitto e l'Unione Europea».

Si tratta di una risposta che non affronta il nodo centrale della questione, e solleva anche dubbi considerando lo stato della giustizia in Egitto, tra torture, processi di massa, pena di morte.

Minori al macello
Con l'Espresso, Laura Dezes di Justice Coopération International sottolinea che «Il progetto è attuato da un consorzio di agenzie e pubbliche amministrazioni dei paesi membri dell'Unione Europea, che sono specializzate e vantano esperienza e una buona reputazione». Purtroppo, però, almeno sull'operato di una di esse, l'agenzia di stato inglese "Northern Ireland Cooperation Overseas" (NI-CO), qualche ombra esiste. A denunciarlo è l'organizzazione internazionale per i diritti umani "Reprieve" con sede a Londra, in un report pubblicato nel settembre scorso e dal titolo: "Da Belfast al Bahrain: le tracce della tortura".

Nel rapporto, Reprieve ricostruisce come NI-CO abbia lavorato con la polizia, le guardie carcerarie e, paradossalmente, anche con l'autorità di supervisione del ministero dell'Interno del Bahrein, uno degli stati del Golfo in cui la repressione dei movimenti a favore della democrazia è più pesante. Reprieve sottolinea come in Bahrein una vittima possa finire abusata dalla polizia addestrata dal NI-CO, torturata dalle guardie carcerarie addestrate dal NI-CO e, se ne esce viva, può rivolgersi al supervisore del ministero dell'Interno anch'esso addestrato dal NI-CO e che, quindi, in tutta probabilità, tenderà ad insabbiare gli abusi di polizia e guardie carcerarie. Nel suo report la prestigiosa organizzazione per i diritti umani con sede a Londra racconta come il supervisore del ministero dell'Interno del Bahrein abbia ignorato per due anni le denunce delle torture subite da Mohamed Ramadan, padre di tre figli, finito condannato a morte dopo una confessione estorta sotto tortura.

Tra i documenti reperibili sul sito web del NI-CO è possibile vedere come in Egitto, nell'ambito del progetto Smaj, NI-CO abbia indetto una gara per la fornitura di materiali per il tribunale di Amireya, al Cairo, di cui l'Espresso pubblica una pianta. Al nostro giornale, Laura Deuzes di Justice Coopération International, partner francese del progetto Smaj, spiega che la corte di Amireya non è ancora operativa, ma è «un nuovo edificio che Smaj pianifica di usare per creare il primo tribunale per i minorenni che rispetti gli standard internazionali». Non è chiaro in che modo Smaj contribuirà a evitare gli abusi contro i minori. Reprieve conosce e denuncia da tempo quegli abusi, in quanto difende Ibrahim Halawa, un ragazzo irlandese arrestato quando aveva 17 anni perché si è ritrovato nel mezzo di una manifestazione a favore della democrazia, mentre si trovava in Egitto con la famiglia per una vacanza.



Halawa è ormai detenuto da oltre tre anni, dopo essere finito in un processo di massa in cui, in un colpo solo, sono state giudicate 493 persone. In prigione Halawa ha subito torture e brutalità. E Ibrahim Halawa non è certo un'eccezione: con l'Espresso, Reprieve sottolinea come da quando il progetto Smaj esiste, il governo egiziano ha comunque condannato a morte minorenni, tipo Hatem Zaghloul, cercando anche di negare che alcuni degli arrestati e condannati, tipo Halawa, fossero minorenni.

Il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura
Nonostante la brutale uccisione di Giulio Regeni abbia creato notevoli tensioni tra il governo italiano e quello egiziano, il Consiglio Superiore della Magistratura non si è sfilato dal progetto Smaj, a cui ha aderito il 19 novembre 2014. A l'Espresso che ha chiesto che tipo di ruolo svolga in Smaj, il Consiglio Superiore della Magistratura ha risposto: «L'attività affidata al Csm non è rivolta agli organi giudiziari egiziani ma al Ministero della Giustizia, ed è finalizzata a migliorare l'organizzazione amministrativa e l'attività di alcuni dipartimenti, definendo prassi e modalità organizzative virtuose per gli uffici del Ministero». Il Csm ha precisato di aver messo «a disposizione del progetto due magistrati che hanno il compito di coordinare le attività, ed ulteriori tre magistrati impegnati come esperti a breve termine per specifiche missioni in loco», ma di non aver mai fornito «alcun esperto per formare i giudici della Corte di Cassazione egiziana».

Il Csm sostiene di rivestire un ruolo essenzialmente burocratico, ma è difficile valutarlo appieno vista la risposta laconica. Per questo Reprieve è molto critica del coinvolgimento italiano in Smaj. «Da quando questo progetto è iniziato, il sistema giudiziario egiziano ha condannato a morte tantissime persone, molte delle quali giudicate in orribili processi di massa. Oggi i tribunali e la burocrazia egiziana continuano a permettere la detenzione prolungata e la tortura di centinaia di persone, inclusi individui che sono stati arrestati quando erano minorenni, come Ibrahim Halawa», dichiara a l'Espresso l'avvocato Harriet McCulloch, vicedirettore del team di Reprieve sulla pena di morte, che aggiunge, «Questa situazione è parte della stessa ondata di abusi che hanno visto il governo di Sisi prendere di mira senza sosta chi protesta, i giornalisti e persone come Giulio Regeni. Il governo italiano e l'Unione Europea sembrano contribuire a sostenere questo sistema, senza preoccuparsi del rischio di complicità in crimini terribili. L'Italia e l'Europa devono o ritirare il loro supporto o usare questo progetto per chiedere di fermare gli abusi della giustizia di Sisi».