Negli ultimi giorni gli annunci di investimenti multimilionari di alcuni colossi informatici hanno riacceso le speranze per un'accelerazione digitale del nostro paese. Ma non tutti gli osservatori sono ottimisti: "Queste notizie positive sono ancora troppo poco"

Il premier Matteo Renzi sorride soddisfatto al fianco di Tim Cook, capo di Apple, ospite a Palazzo Chigi nei giorni scorsi, in occasione dell’apertura a Napoli del primo Centro di sviluppo app d’Europa. Vale 600 posti di lavoro specializzati.

Dejà vu. Pochi giorni prima, lo stesso Renzi, durante la conferenza stampa per la presentazione della riforma PA, segnalava l’investimento di 100 milioni di euro di Cisco in Italia in tre anni. Un fatto che il premier in conferenza ha correlato con l’impegno del Governo sul fronte del digitale e l’innovazione, di cui c’è qualche segno anche nella stessa riforma (un decreto legislativo).

Qualche annuncio simile è lecito aspettarselo a breve da altri soggetti dell’hi-tech americano. Amazon in Italia nel 2015 ha creato oltre 600 posti di lavoro a tempo indeterminato (ora sono oltre 1400 i dipendenti); per il 2016 annuncia assunzioni presso la sede di Milano, il customer service di Cagliari e i due centri di distribuzione di Castel San Giovanni e Milano.

Google a Bologna ha inaugurato il 21 gennaio l’Innovation development center, presso il dipartimento universitario di informatica. È il primo laboratorio universitario per le tecnologie Google for Work. L’azienda da tempo spinge - anche in collaborazione con Unioncamere - per valorizzare l’importanza del digitale presso le Pmi nostrane.

Un approccio simile è di eBay, che collabora con Confcommercio per aiutare l’export delle Pmi.
Microsoft e Ibm sono tra le principali aziende che hanno storicamente investito in Italia, anche raggiungendo vette notevoli di innovazione. Come il Microsoft Tecnology Center o il Centro d’eccellenza di Ibm in Italia (il solo europeo e uno dei tre al mondo dedicato ai big data, dal 2013).

Eppure, nonostante questo storico, non è solo marketing politico quello di Renzi: secondo gli esperti, è vero che gli annunci di Apple e Cisco segnano una discontinuità positiva rispetto al passato. «Dopo vent’anni in cui le aziende americane hanno continuato a fuggire dall’Italia, finalmente cominciano a tornarvi», commenta su Forumpa.it il docente dell’università Sapienza di Roma Roberto Baldoni.

«Sì, sono notizie positive, ma diciamo due cose: primo, che è ancora troppo poco; secondo, il Governo non c’entra niente o - a essere buoni - c’entra pochissimo», ribatte Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente dell’università Bocconi di Milano.

«In realtà bisogna capire il contesto in cui avvengono questi annunci. L’Italia comincia a uscire dalla crisi e quindi le multinazionali colgono una opportunità di investimento, in particolare per risolvere il principale problema del Paese sul fronte dell’innovazione: le competenze tecnologiche - dice Maffè. Senza le quali non è possibile sviluppare né la domanda né l’offerta di servizi innovativi». E quindi un mercato utile all’espansione del colossi.

«Siamo agli ultimi posti in Europa, secondo l’Ocse, per il capitale umano delle competenze digitali. In particolare sono arretrate le aziende, più dei consumatori finali. In questo senso, può essere utile soprattutto l’annuncio meno reclamizzato, ossia quello di Cisco, rispetto a quello Apple». Secondo il docente, infatti, l’investimento di Apple si concentra su un mercato che ha poche ricadute per il settore industriale italiano. «L’investimento di Cisco mira a un risultato più strutturato, con 100 milioni di euro in tre anni, per la crescita delle nostre aziende e la formazione dei giovani», dice Maffè.

Conta per esempio che Cisco svilupperà iniziative per la trasformazione digitale di due settori chiave del made in Italy, il manifatturiero e l’agroalimentare.

Un investimento, insomma, che mira a ciò di cui abbiamo più bisogno: innovazione e formazione nelle aziende che sono le colonne portanti della nostra economia. E che ora sono arretrate da tanti punti di vista.

Ma è ancora troppo poco. «Cisco quest’estate ha fatto un simile annuncio di investimenti nel Regno Unito: un miliardo di dollari. E ricordiamo che gli investimenti esteri in Italia, in generale, sono la metà di quelli spagnoli», dice Maffè.

«Queste notizie positive sono ancora troppo poco per gridare alla rinascita dell’innovazione italiana», aggiunge Giovanni Miragliotta, degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. «Bisognerà anche vedere se il valore che ne deriverà resterà in Italia o tornerà alla Silicon Valley», aggiunge.

La svolta digitale dell’Italia, se mai ci sarà, richiederà tempo. Come la stessa riforma PA, il cui decreto - si è appreso solo nelle ultime ore - è stato approvato soltanto in "via preliminare" dal Consiglio dei Ministri. Il testo finale ancora non c’è, dovendo ricevere un ulteriore passaggio approvativo, che secondo esperti potrebbe prendere parecchio tempo. Da tanti punti di vista, insomma, in fatto di rivoluzioni digitali annunciate dal Governo, prima di vedere le svolte reali tocca pazientare un po’.