Le immagini dal satellite mostrano una gigantesca nube che si allunga su tutta la zona occidentale del Paese: è il fumo dei roghi ai depositi di petrolio, luogo dell'ultima offensiva del Daesh. Che mira a distruggere un'industria petrolifera essenziale per l'Europa e per l'Italia

Il drappo nero del Califfato si è trasformato in una gigantesca nube altrettanto nera e velenosa, una ferita scura che si allunga sul cielo della Libia. I satelliti l'hanno fotografata mentre si estende su tutta la zona occidentale del paese, con immagini che ricordano i cieli contaminati dell'Iraq durante la prima guerra della Golfo. L'origine è la stessa: la colonna di fumo scaturisce dal rogo degli impianti petroliferi, presi di mira dallo Stato islamico nell'ultima ondata di attacchi sulle coste della Sirte.


Quegli assalti sono anche una minaccia esplicita contro l'Occidente: l'inizio di una campagna per distruggere l'industria petrolifera libica, fondamentale per l'economia europea e per quella italiana. È una mossa che - come riporta il sito investigativo Bellincat - è stata annunciata dalle pagine di Dabiq, il giornale del Califfato, con una dichiarazione di Al-Qathani, il portavoce libico dell'Is: «La Libia contiene anche una sorgente di risorse che non può venire prosciugata.Tutti i musulmani hanno diritto a queste risorse... È importante notare che le risorse libiche sono una preoccupazione per gli infedeli dell'Occidente per la loro dipendenza dalla Libia specialmente per ciò che riguarda il petrolio e il gas naturale. Il controllo di questa regione da parte dello Stato islamico porterà a una crisi economica soprattutto in Italia e nel resto dei paesi europei».

La grande nuvola nera scaturisce dai depositi di greggio incendiati nella zona di Sidr e di Ras Lanuf, due istallazioni fondamentali per l'industria del paese che finora avevano subito danni limitati negli scontri tra fazioni degli ultimi due anni. I raid della scorsa settimana avrebbero dato fuoco a cinque grandi cisterne, ciascuna contenente 400 mila barili di petrolio.

Le truppe del Califfato sono andate all'assalto con autobombe, squadre kamikaze e con il lancio di razzi a media gittata. Un altro attacco dal mare sarebbe stato tentato, ma è stato respinto dal corpo dei guardiani petroliferi. Che però faticano a garantire la sicurezza degli impianti, nonostante l'intervento delle agguerrite milizie di Misurata con l'intervento di almeno un cacciabombardiere.


Il terrorismo islamico ha sempre avuto una linea molto selettiva negli attentati contro le infrastrutture petrolifere. Nel 2004 Abdullah bin Nasser al-Rashid, uno degli strateghi di Al Qaeda, aveva scritto delle vere e proprie linee guida. Vietava gli attacchi ai pozzi, in genere troppo protetti e che rischiavano di compromettere definitivamente la loro funzionalità provocando “danni all'ambiente e alla salute”, e consigliava di concentrare le azioni contro gli oleodotti e gli impianti di pompaggio e stoccaggio del greggio, dove le difese erano minori, consigliando di evitare di colpire quelle di proprietà di credenti musulmani.

Adesso l'Is sembra muoversi sul solco di queste direttive, focalizzando le incursioni solo contro i depositi e così puntando a mandare in tilt quel che resta dell'economia libica e danneggiando i profitti per le aziende occidentali che continuano a operare nel Paese. Ma il Califfato non sembra guardare al futuro, contrariamente ad Al Qaeda cerca di seminare distruzione senza preoccuparsi degli effetti a lungo termine.

Il suo obiettivo è gettare definitivamente nel caos la Tripolitania, dove le istituzioni sono più fragili e le divisioni settarie stanno esplodendo, prima che il governo unitario nato sotto l'egida delle Nazioni Unite possa cominciare a funzionare. E soprattutto prima che arrivi sul campo la missione militare Onu a guida italiana, annunciata da mesi ma non ancora diventata operativa.

I ritardi in questo intervento continuano a essere elemento di frizione tra Roma e l'asse Londra-Parigi, che preme per azioni rapide contro il Califfato libico. Un argomento che si è riproposto pochi giorni fa in occasione di una misteriosa incursione aerea contro una colonna di mezzi dell'Is, che non è stata rivendicata da nessuna delle forze attive nel conflitto. E che secondo alcune fonti sarebbe stata compiuta da una squadriglia francese.