Le stime sono ancora provvisorie ma indicano che per la prima volta nella storia le emissioni globali sono in calo dello 0,6 per cento. A fare la differenza è stata la Cina. Ma non è ancora sufficiente a risolvere il problema climatico

Che sia il punto di svolta? Nonostante l’economia mondiale –  tutt’ora in gran parte alimentata dai combustibili fossili – abbia registrato nell’anno in corso una sensibile crescita, le emissioni di anidride carbonica sono scese. «Le nostre stime sono ancora provvisorie e segnate da un certo margine di incertezza», spiega Corinne Le Quéré, direttrice del Tyndall Centre, l’istituto di ricerca climatica dell’Università dell’East Anglia. «Ma tutto sembra indicare che, a fine 2015, le emissioni globali saranno scese dello 0,6 per cento». Sarebbe la prima volta nella storia.

Gli scienziati inglesi, che hanno appena presentato lo studio al summit climatico di Parigi in contemporanea alla pubblicazione su «Nature Climate Change», ammettono che molto difficilmente si tratta del picco delle emissioni, ovvero il punto massimo storico prima della discesa. Eppure, il paper del Tyndall Centre apre uno scorcio inaspettato sul progressivo riaggiustamento del mix energetico da parte della civiltà umana.

«Nessuno, né la Banca Mondiale, il Fondo Monetario, né l’Agenzia Internazionale dell’Energia e neppure noi di Greenpeace – dichiara Kumi Naidoo, direttore esecutivo della celebre organizzazione ambientalista – avevamo previsto un’adozione delle energie rinnovabili così rapida come quella che si è vista negli ultimi anni».

È più o meno quel che ha osservato anche il segretario generale dell’Onu, Ban-Ki Moon. «Negli Stati Uniti – rincara la dose Al Gore, anche lui in prima linea al vertice parigino – il 78% degli investimenti effettuati quest’anno in nuovi impianti di produzione energetica, è stato coperto dalle rinnovabili. Chi l’avrebbe mai detto?».

La differenza però, l’ha fatta la Cina. «Dopo essere cresciute mediamente del 6,7% all’anno nell’ultimo decennio – osserva Dabo Guan, un altro professore della East Anglia – le emissioni della Repubblica Popolare l’anno scorso sono rallentate (+1,2%). Ma per l’anno in corso ci aspettiamo un calo del 4%». Se i dati provvisori del Tyndall Centre saranno confermati, si tratterebbe di un risultato clamoroso.

L’economia cinese, seppur in leggera frenata, continua a crescere. Ma la sempre più rapida adozione di tecnologie eoliche e solari, nonché la chiusura di numerosi impianti a carbone a ridosso delle città (per cercare di arginare un inquinamento che continua anche in questi giorni a essere insopportabile), hanno fatto la differenza. «Non possiamo aspettarci lo stesso dall’India – ammonisce la professoressa Le Quéré – che oggi consuma tanto carbone quanto faceva la Cina negli anni 90 e che, però, ha solo cominciato».

Non a caso, nell’intervenire qui a a Parigi la settimana scorsa, il premier Narendra Modi ha promesso di installare 175 gigawatt di energia rinnovabile entro il 2022 e di espandere le proprie foreste, ma senza compromettere «le aspirazioni di 1,25 miliardi di indiani, 300 milioni dei quali non hanno l’elettricità». Come dire: abbandonare il carbone ci è impossibile.

Il carbone è di gran lunga il più dannoso dei combustibili fossili: sia perché emette più anidride carbonica di quanto non facciano petrolio e gas, sia perché è responsabile delle polveri sottili che rendono l’aria malsana per gli esseri umani. Un po’ come le energie rinnovabili stanno guadagnando più terreno del previsto, la monumentale riconversione energetica in discussione a Parigi potrebbe essere velocizzata con un graduale, ma rapido abbandono delle risorse carbonifere. Gli Stati Uniti, l’Europa (in Italia l’Enel ha in programma la chiusura di numerose vecchie centrali) e tutto il mondo industrializzato del quale la Cina fa ormai parte, potrebbero voltargli le spalle prima del previsto. Le aziende americane del settore sono già oggi in crisi profonda: anche per via della concorrenza del nuovo shale gas, negli ultimi cinque anni il valore di società come Arch Coal o Peabody Energy è crollato a Wall Street di ben oltre il 90 per cento.

Le buone notizie, per così dire, finiscono qui. Gli stessi scienziati del Tyndall Centre ammettono che la traiettoria delle emissioni non è ancora sufficiente a risolvere il problema climatico. «Che si possa contenere la temperatura entro la soglia di aumento di un grado e mezzo – sentenzia Corinne Le Quéré – è ormai già impossibile. E per quanto riguarda il celebre obiettivo dei due gradi, dichiarato a gran voce da tutti i Paesi, le promesse fatte qui a Parigi non bastano». Per scienziati e ambientalisti, l’auspicabile Accordo di Parigi, o chissà come verrà chiamato, può essere solo un primo passo. Qualcosa di rilevante sta già accadendo, ma il vero punto di svolta è rimandato.