I mercati emergenti corrono. Gli Usa stanno uscendo dalla crisi. L'Europa è troppo lenta, ma le riforme si stanno facendo. E allora...

Ora è ufficiale. Secondo il Fondo monetario internazionale, nei prossimi anni vivremo in un mondo a tre velocità: i mercati emergenti che crescono con forza, gli Stati Uniti che si riprendono e l'Europa che si trascina.

Com'è possibile che gli Stati Uniti, il paese di Lehman Brothers, stiano uscendo dalla gigantesca crisi finanziaria da essi stessi creata e l'Europa invece si dibatta ancora nelle sue spire? La risposta è che gli Stati Uniti hanno potuto contare su politiche intelligenti, istituzioni forti e un po' di buona fortuna, tre elementi dei quali in Europa l'offerta è purtroppo limitata. Gli Stati Uniti non sono tuttavia forti come appaiono e, nel lungo periodo, l'Europa ha prospettive migliori di quanto suggerirebbe l'attuale sconfortante quadro.

DIVERSAMENTE DALL'EUROPA, nel peggior momento della crisi, gli Stati Uniti hanno saputo immettere nel sistema un forte stimolo fiscale abbinandolo a una espansione monetaria molto aggressiva. Le istituzioni federali statunitensi, che in Europa non esistono, si sono attivate per salvare le banche senza il contributo dei singoli Stati. Irlanda e Spagna, invece, hanno dovuto sborsare consistenti somme di denaro per salvare le proprie banche, mentre i mercati perdevano fiducia nei loro titoli sovrani. Negli Stati Uniti, la forza lavoro - altamente flessibile - e i mercati immobiliari si sono adeguati rapidamente al collasso della domanda, con una calmierazione dei salari e un calo dei prezzi degli immobili. Nel frattempo, le banche stavano già iscrivendo a bilancio i prestiti inesigibili e ristrutturando i bilanci, e ora hanno ripreso a fornire del credito. In Europa questi aggiustamenti stanno richiedendo molto più tempo.

Mentre nella periferia dell'Europa, sulla scia del dopo-boom dell'euro, la perdita di competitività si acuiva marcatamente, negli Stati Uniti il costo del lavoro per unità di prodotto nel confronto con i partner commerciali ha continuato a scendere per almeno due decenni, grazie a una crescita alquanto sostenuta della produttività, a salari reali in calo e a un dollaro Usa relativamente debole. In questo modo, l'aumento dell'export e la contrazione dell'import hanno contribuito a reinnescare la crescita negli Stati Uniti. In Europa queste forze sono state molto meno visibili, a parte la nota eccezione costituita dalla Germania. La fortuna aiuta gli audaci, si dice, e ora gli Stati Uniti cominciano a trarre i benefici di una significativa espansione della produzione di petrolio e di gas da fonti non convenzionali. Le nuove tecnologie del "fracking" potrebbero dare un contributo all'economia equivalente a vari punti del Pil, migliorando ulteriormente la competitività del settore manifatturiero e rendendo gli Stati Uniti autosufficienti sul fronte dell'energia.

Questa spinta si traduce in una maggiore confidenza dei consumatori e degli investitori statunitensi: dopo molti anni in cui la decisione di acquistare una casa, un'automobile o altri beni durevoli è continuata a essere rimandata, la domanda per questi beni è ripartita con forza. I prezzi delle case stanno salendo, mentre l'indebitamento delle famiglie si riduce e i consumatori si convincono di poter nuovamente spendere. I recenti tagli al bilancio, sostanziali e caotici, in altre parole, una manovra inversa a quella dello stimolo fiscale, non sembrano aver attenuato l'ottimismo.

Implica ciò che possiamo smettere di preoccuparci per gli Stati Uniti e che l'Europa è senza speranza? No, decisamente no. Non sarà facile rientrare dalla massiccia espansione monetaria portata avanti negli Stati Uniti quando arriverà il momento di farlo. Inoltre, poco è stato fatto per affrontare le debolezze strutturali dell'economia americana. Quella principale è sicuramente il suo sistema sanitario che, dispendioso e inefficiente, assorbe un 8 per cento in più del Pil rispetto a quelli europei con risultati più scarsi (l'aspettativa di vita degli americani è inferiore di 3,4 anni se confrontata, per esempio, a quella degli italiani). I tassi di risparmio delle famiglie americane sono tra i più bassi del mondo, un fattore che spiega sia i livelli relativamente bassi del tasso d'investimento negli Stati Uniti sia il deficit cronico delle partite correnti. Gli Stati Uniti hanno anche il più alto tasso di disuguaglianza del reddito tra i paesi avanzati oltre a un tasso di povertà del 15 per cento, due elementi che aggravano le profonde divisioni politiche che stanno compromettendo la funzionalità della governance.

Le debolezze strutturali dell'Europa sono anch'esse radicate in profondità a causa, soprattutto, dell'ancora incompiuta unione monetaria e della rigidità nel mercato del lavoro e di quello dei servizi. Tuttavia, seppur lentamente, le istituzioni sulle quali l'Europa deve poggiare sono in via di costruzione, la competitività migliora in buona parte della periferia (anche se purtroppo non in Italia) e in settori quali i sistemi pensionistici e i mercati del lavoro si stanno realizzando delle importanti riforme.
L'Europa deve muoversi più speditamente. Se lo fa, potremmo un giorno scoprire che la fase a tre velocità, così come prospettata dall'Fmi, sarà stata solo temporanea, un battito d'occhio nella storia economica.