La fantomatica sostanza nucleare proveniente dagli arsenali dell’Unione sovietica in smantellamento ha alimentato un giro d’affari nei primi anni Novanta, coinvolgendo l’ex Kgb e l’attuale presidente russo

Tra i tanti fantasmi che l’invasione russa in Ucraina ha resuscitato, c’è il balletto del terrore intorno alle centrali e l’uso di armi nucleari. Gli allarmi delle intelligence occidentali, alimentati dalla propaganda dei media russi sono appena mitigati dalle parole dello stesso Vladimir Putin in occasione della Decima conferenza del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari. «Non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare e non dovrebbe mai essere scatenata», ha detto.

 

Tuttavia in Occidente la diffidenza è massima, considerando che l’interesse russo per questo simbolo di onnipotenza più che di deterrenza è antico. Lo rivela una storia emblematica.

 

Esattamente trent’anni fa servizi segreti e cancellerie di mezza Europa, Italia compresa, sperimentarono che il sogno della “mini bomba sporca fai da te” era alla portata di Stati canaglia, mafie, Paesi in via di sviluppo e terroristi. Ad alimentarlo era la caduta dell’Urss. Funzionari dell’apparato, presunti pezzi dell’ex Kgb, e, soprattutto, criminali e truffatori diedero vita al mercato nero di armi e al traffico di materiale strategico dismesso dai depositi dell’ex Armata rossa. Ma anche di terre rare, di plutonio e uranio, provenienti da laboratori e complessi nucleari ad Est. E di una misteriosa sostanza radioattiva rosso ciliegia, liquida o in polvere, il “red mercury”.

 

Inesistente come materiale bellico, hanno giurato gli scienziati. E tuttavia al centro di ricorrenti traffici che arrivano fino ai giorni nostri. Il mercurio rosso è un fantomatico composto ideato dagli scienziati sovietici a Dubna nel ’68, utile come “vernice” anti sistemi radar, innesco per un processo di fusione, stabilizzatore di sistemi di puntamento missilistici, detonatore di bombe e infine refrigerante per un reattore sperimentale autofertilizzante al plutonio, messo a punto in Russia negli anni ’80.

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La sua leggenda è arrivata fino ad oggi, perché tra i presunti protagonisti di quella che è stata definita come “l’ultima grande truffa del XX secolo”, ci sarebbe stato proprio l’attuale presidente Putin a proprio agio in uno scenario, quello del post Guerra Fredda che ha visto muoversi nell’ombra ma non troppo, mediatori, trafficanti e, naturalmente, spie. A ricostruire la vicenda del mercurio rosso sono Sergei Dobrynin e Robert Coalson per un progetto investigativo sugli scandali del futuro presidente e dei suoi funzionari negli anni ’90. C’è una data chiave ed è quella del 29 agosto 1991. Quel giorno le forze speciali del governo cecoslovacco mettono a soqquadro l’aeroporto di Mosnov. Cercano 60 chilogrammi di mercurio rosso dall’ex Urss. Il valore stimato è di 20 milioni di dollari.

 

Alla rivelazione del blitz se ne accompagna un’altra: i vertici della “Alkor technologies Inc” di San Pietroburgo, a commento della notizia, spiegano ad un quotidiano moscovita che, insieme ad altre imprese dell’ex Leningrado, da tempo, ricevono commesse di produzione dall’estero. Ad acquistare il prodotto, al prezzo di 300 mila dollari al chilo, non meglio specificate «imprese arabe». Ed è proprio Alkor, l’anello di congiunzione tra l’affare del mercurio e Putin. La società, ancora oggi operativa, produce vetri ottici ma per il business del red mercury avrebbe creato la società Palmer che per il 16 per cento appartiene al Comitato per le relazioni esterne di San Pietroburgo.

 

A presiedere il Comitato c’è proprio l’ex agente del Kgb e futuro presidente. In quel periodo, è il governo nato dalle ceneri della disciolta Urss a favorire il commercio di quote di materie prime con l’estero, a condizione di reperire derrate. Marina Salye, leader radicale e consigliere comunale di San Pietroburgo, scomparsa nel 2012, la prima in assoluto a investigare sulle origini opache delle fortune di Putin, chiede di metterlo sotto indagine: niente cibo e cento milioni di dollari scomparvero per quote assegnate dal suo comitato a società fantasma. Visto il volume di affari, in molti vogliono commerciare il mercurio rosso. C’è anche la Alkor, per la fornitura all’Ungheria di 400 chili di mercurio rosso per 30 milioni di dollari. L’affare sta a cuore al vice di Putin che con due lettere sollecita l’autorizzazione speciale prevista per i materiali bellici ma qualcosa va storto e l’Accademia delle Scienze, chiamata ad esaminare il presunto composto strategico, sentenzia che si tratta di antimoniato di mercurio, privo di implicazioni militari. Il responso scientifico mette a nudo che il contrabbando legalizzato è una gigantesca frode su cui i riflettori a quel punto, siamo già nel 1992, si accendono.

 

La ditta non pubblicizza più il composto perché nel frattempo diventa di dominio pubblico il lavoro della commissione speciale guidata dal vicepresidente russo Aleksandr Rutskoj: il “red mercury” non esiste. La relazione della commissione elenca le imprese più attive nella promozione della truffa, tra cui la Promekologia, autorizzata da Boris Eltsin. Alkor non figura, ma i suoi vecchi fondatori creano nel 1993 la potente Tavrichesky Bank, finita in amministrazione controllata nel 2015 per la scomparsa di 520 milioni di dollari.

 

«È possibile che con il pretesto del mercurio rosso siano stati esportati preziosi materiali strategici (platino, oro, osmio, indio, uranio, plutonio e altri)», scrive la commissione. Anche fuori dai confini russi si arriva a conclusioni non diverse. Il Dipartimento Usa per l’energia parla di una bufala. E lo stesso fa l’Aiea, Autorità internazionale per l’energia atomica dell’Onu. Il business è una truffa con contorni da spy story. Perché il traffico di materiali radioattivi è una realtà nella quale si innesta il raggiro condotto da uomini dell’apparato che in un sistema di porte girevoli partecipano all’uno e all’altro, salvo poi utilizzare le proprie conoscenze anche per indagare sulla rete di export, avendo cura di selezionare le teste da far rotolare. «È stata una truffa nata in Russia per far uscire soldi e ottenere capitali puliti», spiega a L’Espresso una fonte che all’epoca collaborò col Sismi: «Un meccanismo truffaldino utilizzato poi in maniera più intelligente per scovare i trafficanti interni ed esterni di armamenti».

 

Lo spiega lo stesso futuro presidente della Commissione europea Martin Schulz il 20 giugno del 1996 a Strasburgo, quando presenta un’interrogazione sul traffico illecito di materiali nucleari. Cita l’Euratom, la Comunità europea dell'energia atomica che esamina 34 casi di materiale nucleare sequestrato dal 1991, di cui 30 nella sola Repubblica federale di Germania, uno in Belgio, tre in Italia e a proposito del più ingente sequestro di plutonio avvenuto a Monaco rivela: «Non ha senso che il servizio segreto tedesco incarichi dei malviventi spagnoli di recarsi in Russia per importare plutonio in modo che gli stessi funzionari di polizia che hanno incaricato i criminali possano arrestarli».

 

A Trieste, spuntano certi traffici tra le carte della Sovit Trade di Trieste acquisite nel 1992 dal comandante del Gico della Guardia di Finanza Vincenzo Cerceo. Tra partite di cetrioli, tabacchi e legname, risultano in vendita due bottiglie di mercurio rosso da cinque chili depositate in una banca di Dusseldolf, insieme con altro materiale bellico e tracce di un forte traffico di rubli. Dietro alla Sovit c’è Daniel Abramovic, indicato come braccio destro di Alexandr Vicktorovich Kuzin, cittadino russo con presunti trascorsi da colonnello nel Kgb e ritenuto uomo chiave per i traffici europei dall’ex Urss.

 

Scavando su Kuzin si scopre che l’anno prima a sollecitare che gli venisse rilasciato un visto era stato un parlamentare italiano. E sulle tracce del mercurio rosso si incrociano altri intrighi. La Digos di Udine scopre un presunto traffico verso Libia e Cina di elicotteri e uranio e arresta cinque persone, Kuzin viene fermato a Montecarlo il 10 ottobre 1992. Nel gigantesco puzzle compaiono mediatori di armamenti dell’ex Urss. Tra questi c’è Aldo Anghessa, faccendiere e confidente del Sisde, che agiva come agente-provocatore. Ma anche Marco Affatigato, ex terrorista di Ordine Nuovo, arrestato in passato per tentata ricostituzione del partito fascista, traffico di armi e ritenuto vicino ai servizi francesi. All’inviato del Tg1 Ennio Remondino racconta di avere un mandato a vendere il prodotto ex Urss da parte dell’Ucraina: 15 mila dollari al grammo, scadenza sei mesi, consegna attraverso la dogana di Ginevra.

 

Ma al “mercato dell’usato” dopo il crollo dell’Urss quella del mercurio rosso fu solo una trovata per fare quattrini, capace di resistere negli anni cavalcando la smania di nucleare di regimi e terroristi dopo il disgelo tra Urss e Usa, che, come spiega Maurizio Simoncelli, vice presidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, «lavorarono in modo abbastanza coordinato perché il timore che quelle armi potessero prendere la via che avevano preso quelle convenzionali era forte». Periodicamente però non sono mancate nuove fiammate di interesse sul mercurio rosso. Nel 2009 la Reuters raccontò la caccia in Arabia Saudita a una partita nascosta in vecchie macchine per cucire. E nel 2015 il premio Pulitzer CJ Chivers sul New York Times rivelò che i trafficanti in Siria e Turchia cercavano di procurarlo allo Stato Islamico. Tre anni fa a Kiev furono arrestate quattro persone per la tentata vendita di due litri per 250 mila euro. E di mercurio rosso a bordo della Latvia parla anche la relazione parlamentare sulla morte, nel 1995, del capitano Natale De Grazia che indagava sulle “Navi dei veleni”.