Ventimila aziende in mano alle cosche, comuni infiltrati, colletti bianchi a libro paga, tassi di riciclaggio pari al Sud. La scalata dei boss al nord-est è dimostrata da uno studio commissionato da Luca Zaia, e poi nascosto

«A rovinarci è stato il soggiorno obbligato per i mafiosi negli anni Settanta». L’ex segretario della Liga Veneta Ettore Biaggiato risponde così su “Il Mattino di Padova” a chi fa notare che in Veneto un po’ di mafia in fondo c’è. Sono trascorsi cinquant’anni comunque dai tempi dei «confini» per i picciotti e forse la causa di quanto sta accadendo ai giorni nostri non è proprio questa. Ma una cosa è fuori di dubbio: secondo uno studio dell’università di Padova, commissionato dal governatore del Veneto Luca Zaia e poi poco (anzi per nulla) pubblicizzato dal presidente leghista, oggi il Veneto è la regione del Nord con la più alta percentuale di infiltrazioni delle tre grandi mafie, Camorra, ’ndrangheta e quel che resta delle cellule di Cosa nostra.

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Numeri impressionanti e riposti in fretta nel cassetto perché imbarazzanti per la politica tutta, impegnata spesso a minimizzare quanto sta accadendo nel Nord-Est: ma gli inquirenti parlano di una terra dove vige l’omertà, dove non si registrano denunce degli imprenditori e dove, come capitato recentemente in processi per mafia e infiltrazioni nei Comuni, come parte civile in udienza si presentano solo Cgil e Libera.

 

I numeri e le storie incrociate da L’Espresso raccontano di un’emergenza Veneto che dovrebbe diventare tema di dibattito nazionale. «C’è bisogno della collaborazione di tutte le parti sociali, ma spesso invece si minimizza il fenomeno e noi investigatori riscontriamo difficoltà a trovare collaborazione e persone che testimoniano e denunciano gli accordi tra le grandi mafie per spartirsi pezzi di territorio e business del Veneto», dice Paolo Storoni, colonnello dei carabinieri e capo della Direzione investigativa antimafia del Triveneto. Dai Casalesi ai Grande Aracri, le prime sentenze stanno però alzando il velo sul potere del gotha delle mafie tra Padova, Verona, Venezia e Cortina. Solo nel distretto di Venezia lo scorso anno sono state emesse 200 misure cautelari per fatti legati alle mafie e, secondo i dati della Banca d’Italia, il Veneto ha tassi di segnalazioni di operazioni finanziarie sospette per riciclaggio pari soltanto al Sud: «Le incidenze sono maggiori in Sicilia, Calabria, Puglia, Campania e Veneto», si legge nell’ultimo report sull’economia veneta.

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L’ALLARME
Nel Nord-Est che non ti aspetti i clan mafiosi fanno incetta di quote o interi pacchetti societari «per aumentare il radicamento nel tessuto sociale ed economico». La conferma nei numeri che assegnano il 19,5 per cento della distribuzione per regione di aziende criminali proprio al Veneto, a fronte del 16,4 per cento della Lombardia e del 12,9 dell’Emilia-Romagna (così tra il 2015 e il 2020). La fotografia arriva dallo studio che il professore Antonio Parbonetti, economista dell’università di Padova, ha da poco pubblicato a conclusione di un progetto di analisi su un campione di circa 8 mila società, attraverso i fascicoli di 214 inchieste giudiziarie condotte al Nord tra il 2010 e il 2021. Il report indica in 1.091 il numero delle aziende venete con almeno un consigliere d’amministrazione o un socio dichiarato colpevole di associazione a delinquere di stampo mafioso o di concorso esterno. Dice Parbonetti: «Riteniamo che le aziende infiltrate siano circa 20 mila e che quella emersa sia soltanto la punta dell’iceberg. Il problema è che la loro presenza non genera allarme sociale: finché il crimine non diventa visibile, la condanna anche sociale non scatta. Così i mafiosi continuano a scegliere il Nord-Est perché trovano terreno fertile per i loro affari e i veneti continuano a relazionarsi con loro».

 

E se è vero che le aziende compromesse si occupano in prevalenza di edilizia (29,6 per cento), immobiliare (14,8), commercio (14,3) e manifatturiero (11,6), si scopre poi come siano i servizi acqua e rifiuti, marginali in termini di concentrazione (3,7), a presentare i bilanci più pesanti.

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I TENTACOLI DELLE MAFIE
In silenzio, senza molto clamore, sono arrivati a sentenza processi che hanno ridisegnato la mappa delle mafie in Veneto. Quello sulla camorra a Eraclea, con l’appello che ha confermato l’ossatura dell’indagine della procura di Venezia, per esempio. Luciano Donadio e Raffaele Buonanno, presenti dai primi anni Duemila, decidevano tutto, anche chi doveva fare il sindaco. Non a caso, tra i condannati, per concorso esterno, figura l’eterno primo cittadino Graziano Teso, sempre eletto nel campo del centrodestra.

 

Il prefetto di Venezia, Vittorio Zappalorto, aveva chiesto lo scioglimento per mafia del Comune, con una dettagliata relazione che il ministero dell’Interno, nel 2020, ha respinto. Al processo, le uniche parti civili sono state quelle della Cgil e di Libera: assenti altri enti locali, a partire da Eraclea, o associazioni di imprenditori. «I casalesi sono stati una realtà drammaticamente presente, che ha manifestato potenza ed esibito onnipotenza, ma di fronte alla quale nessuno ha denunciato: la gente e le istituzioni sono rimaste a guardare. Sciogliere il Comune sarebbe stato un segnale importante per tutti e avrebbe dato una scossa alla popolazione», dice Zappalorto.

 

In primo grado ha poi retto l’indagine “Isola scaligera” che ha coinvolto manager delle aziende pubbliche di Verona e affiliati alla ’ndrangheta, in particolare Ruggiero Giardino, figlio di Antonio detto “Totareddu” vicino alla cosca degli Arena Nicoscia e ritenuto al vertice delle ’ndrine veronesi. Anche qui sono emersi legami tra la criminalità e i colletti bianchi, e nessuno ha denunciato o collaborato con inquirenti e magistrati. Forse perché quando qualcuno lo fa accade che a tremare sia mezzo Veneto: come sta avvenendo con il pentimento del boss Nicolino Grande Aracri, che nel Nord-Est era diventato l’unico grande rifermento per tutte le ’ndrine calabresi. «Lui comanda, ha 500 uomini», dice un suo uomo intercettato mentre parla con un imprenditore veneto, aggiungendo poi: «Se non vai dal notaio ti ci mando io, in piedi o coricato».

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Le mafie in Veneto mettono radici nei piccoli e nei grandi affari. Come si è scoperto con l’arresto di quindici persone per appalti della Rete ferrovie italiane, con legami tra imprenditori veneti e le cosche della ’ndrangheta Nicosia e Arena di Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. In questa indagine è stata coinvolta anche Maria Antonietta Ventura, presidente del cda del Gruppo Ventura che si occupa di costruzioni ferroviarie, candidata dal centrosinistra e dai 5 stelle alla presidenza della Calabria lo scorso anno.

 

Indagini che seguono quelle degli anni scorsi, come “Taurus” arrivata alle condanne di primo grado e che ha svelato le ramificazioni delle ’ndrine di Gioia Tauro tra Verona, Padova e Treviso: qui si è costituita la Regione Veneto che ha pure ottenuto un risarcimento. Al cuore dell’indagine c’è la tesi che le famiglie Gerace, Albanese, Napoli e Versace abbiano creato una locale della ’ndrangheta che operava «nei Comuni di Sommacampagna, Villafranca, Valeggio sul Mincio, Lazise, Isola della Scala».

 

«Un ruolo chiave nelle infiltrazioni mafiose non lo hanno solo gli imprenditori, che spesso pensano di poter gestire certe dinamiche, ma anche i colletti bianchi: commercialisti, notai, avvocati, e su questo fronte riscontriamo una grande omertà», dice il colonnello Storoni. Un caso che ha fatto scalpore, e arrivato a sentenza, è quello della Aspide srl, una società con sede a Padova che si occupava di recupero crediti ma in realtà faceva prestiti a tasso usuario. Il gruppo criminale era guidato da Mario Crisci, soprannominato "O' dottore". Secondo il Tribunale a fare da intermediari tra Mario Crisci e i clienti della Aspide erano alcuni professionisti come Ivano Corradin, presidente dell'associazione dei tributaristi del Vicentino, che reperiva i clienti per conto della Aspide, condannato a 3 anni e 10 mesi. Si legge nella sentenza: «Il suo ruolo svolto nell'Aspide era necessariamente consapevole delle attività esercitate dalla società e delle modalità mafiose utilizzate».

 

A proposito di colletti bianchi: nell’operazione “Fiore reciso”, appena arrivata a sentenza di appello per abbreviato, è stato confermato il coinvolgimento di un ex direttore di banca di Vigonza nel riciclaggio del denaro fatto con i soldi della droga da parte delle famiglie di Isola di Capo Rizzuto, cosca ricca e potente del Crotonese. E sempre in tema di colletti bianchi, in arrivo in Veneto c’è un fiume di denaro per le Olimpiadi invernali del 2026: «Abbiamo già acceso un faro e stiamo facendo verifiche sul settore immobiliare e su strane vendite tra Cortina, Venezia, Verona e Jesolo», dice Storoni. Sembra la Calabria ma no, è il Veneto.