Registrati in Romania in una sorta di Ordine parallelo. Riconosciuti in Spagna, cercano di aggiudicarsi l’iscrizione all’Albo italiano. Ma ora, da Pavia a Caltagirone fioccano le cancellazioni. Non senza paradossi e contenziosi

Si erano accaparrati un controverso titolo di avocat in Romania, con quello erano riusciti a registrarsi come abogado in Spagna. Fissando, quasi tutti, il domicilio presso lo stesso numero civico di Madrid. Speravano, così, di aggiudicarsi anche l’iscrizione all’albo degli avvocati in Italia. Precisamente, a Pavia. A ricostruire la triangolazione e a capire che si trattava dell’ennesimo tentativo di aggirare le regole sull’accesso alla professione è stato l’Ordine degli avvocati della città lombarda: ottenuti dall’omologo madrileno i documenti da cui emerge il vizio a monte, ha messo alla porta gli aspiranti legali. Peccato che, a stretto giro, alcuni di loro siano rientrati dalla finestra in altri fori. Mentre a Bucarest i sospetti avocat continuano a circolare.

È utile ricordare che per diventare avvocati nel nostro Paese, dopo la laurea in Giurisprudenza, bisogna svolgere un periodo di pratica o frequentare una scuola di specializzazione e, infine, superare l’esame di abilitazione; ma la direttiva europea che sancisce la libertà di stabilimento consente, pur con dei limiti, di esercitare l’attività forense in ogni Stato dell’Ue con il titolo di provenienza. Da noi occorre essere inseriti in una sezione speciale dell’albo, destinata, appunto, ai cosiddetti stabiliti. Su un totale nazionale di 244.846 avvocati, se ne contano 2.557 (dati aggiornati al 31 dicembre 2021). Questi ultimi, qualora dimostrino di aver lavorato in maniera effettiva per tre anni sotto la vigilanza di un collega vero e proprio, possono chiedere all’Ordine di essere iscritti nell’elenco principale senza sostenere il test attitudinale integrativo.

Il caso pavese
«Quando il nuovo Consiglio dell’Ordine di Pavia si è insediato nel 2019 ha ricevuto una serie di domande di dispensa dal test da parte di abogado. Le istanze erano già state presentate ai nostri predecessori, i quali avevano ritenuto di non rispondere. Noi le abbiamo valutate, iniziando a verificare la regolarità delle iscrizioni in Spagna», racconta Francesco Giambelluca, lui stesso consigliere e referente della commissione avvocati stabiliti. Insospettisce che queste siano successive al 31 ottobre 2011, data di entrata in vigore della legge con cui Madrid ha irrigidito l’accesso alla professione forense; prima bastava convertire la laurea italiana, con le opportune integrazioni, ora è necessario frequentare un master e superare l’esame di Stato. «Nonostante li avessimo sollecitati a provare di possedere i requisiti imposti dalle norme spagnole, gli abogado si sono rifiutati di collaborare. Secondo loro, non potevamo sindacare la scelta di ammetterli compiuta dalla Spagna nell’ambito della sua sovranità».

 

La diatriba si trascina, finché a uno dei candidati alla toga viene recapitato un esposto disciplinare per ragioni che non riguardano la vicenda: «A quel punto – prosegue Giambelluca – era nostro dovere avvertire il suo Ordine di provenienza. Il Colegio de Abogados a cui ci siamo rivolti, però, ha chiarito di essere una tappa intermedia. L’interessato si era stabilito lì, ma era in origine un avocat. E il competente organo rumeno, da noi interpellato, ha confermato». Ecco il problema. Tale organo – l’Uniunea Nationala a Barourilor din Romania o Unbr “Bota”, con sede in strada Academiei 4-6, Bucarest – non risulta né competente né legittimato al rilascio di titoli forensi.

Bota o non Bota
Si parla della struttura fondata nel 2002 da Pompiliu Bota, una specie di ordine parallelo, che ha una denominazione identica e un simbolo assai simile all’autentica Unbr. A distinguerle è soltanto l’indirizzo: quella riconosciuta ufficialmente si trova presso il Palazzo di Giustizia di Bucarest, Splaiul Indipendentei 5.

Nel 2013 Bota viene arrestato, prima di essere rinviato a giudizio davanti al Tribunale di Suceava, con l’accusa di associazione per delinquere dedita a una sfilza di reati riassumibili in esercizio abusivo della professione, frode, utilizzo indebito di qualifiche e insegne. Nel 2021 i giudici di primo grado lo assolvono. Intanto, l’Alta Corte di Cassazione e Giustizia della Romania dichiara che chiunque eserciti da avvocato senza essere inquadrato nell’Unbr ufficiale lo fa illecitamente. Al di là dei risvolti penali, per le autorità governative rumene l’iscrizione all’Unbr “Bota” è priva di validità. Tra il 2018 e il 2019, il Tribunale e la Corte d’Appello di Bucarest condannano la struttura a rinunciare ai diritti sul logo Unbr e dispongono la cancellazione del marchio dall’apposito registro. Decisione diventata definitiva nel 2021.

In Rete, comunque, il vecchio sito www.bota.ro è stato sostituito da www.unbr.eu. Nella rinnovata veste, la coincidenza con il nome, il simbolo e l’indirizzo web della vera Unbr è pressoché totale. Mentre l’elenco degli iscritti pubblicato arriva fino a 2.177 presunti avocat.

Il precedente di Caltagirone
Sull’onda delle pronunce della magistratura rumena, il nostro Consiglio nazionale forense allerta le varie diramazioni territoriali. Tra i primi a muoversi c’è l’Ordine di Caltagirone che, nel 2016, avvia un procedimento di cancellazione di oltre duecento avocat. Gli interessati insorgono. Seguono molte impugnazioni al Cnf, che funge da secondo grado rispetto alle delibere dei Consigli locali, e poi ricorsi alla Corte di Cassazione, che in materia si esprime a sezioni unite.

Quest’ultima, come si legge in un provvedimento del Cnf, «conferma l’orientamento sull’obbligo, da parte dei Consigli dell’Ordine, di non iscrivere e di cancellare dalla sezione avvocati stabiliti i soggetti in possesso di un titolo non valido per l’esercizio del diritto di stabilimento, in quanto rilasciato da ente non risultante tra quelli abilitati al rilascio e inclusi nell’elenco del sistema Imi (Internal market information). Il controllo è demandato all’autorità competente nello Stato italiano a riconoscere e far valere la legittimità del titolo, ossia al ministero della Giustizia». Ebbene, il controllo è stato effettuato e della struttura “Bota” non c’è traccia.

Il cortocircuito
Perciò, a Pavia, i consiglieri esigono chiarimenti da tutti gli stabiliti. Spiega ancora Giambelluca: «Qualcuno ha negato di avere rapporti con la Romania. Altri li hanno ammessi e sono stati cancellati nel 2021. Altri sette non hanno risposto; così abbiamo chiesto e ottenuto dal Colegio spagnolo d’appartenenza un certificato originario, constatando che erano iscritti alla Unbr “Bota”. Nei giorni scorsi è scattata la cancellazione anche per loro».

Il cortocircuito, però, è dietro l’angolo: «Alcuni tra quelli che sono stati cancellati un anno fa si sono re-iscritti presso gli Ordini di Milano, Napoli Nord, Messina e Alessandria. Motivo per cui abbiamo ora comunicato la nostra decisione e le ragioni su cui si fonda ai colleghi e al Cnf. Ciò a esclusiva tutela della professione, dell’amministrazione della giustizia e dei cittadini». Uno dei destinatari del provvedimento, invece, avrebbe presentato querela contro l’Ordine per abuso d’ufficio, lamentando di essere stato tolto dall’elenco prima del termine di 60 giorni previsto per un’eventuale impugnazione.

«La questione pone interrogativi seri – conclude Giambelluca – innanzitutto sull’efficacia dell’attività svolta da persone senza titolo; poi, potrebbero proliferare esposti per esercizio abusivo della professione da chi si senta leso, magari cliente o controparte, o accertamenti delle Procure. Andrebbero trovate soluzioni sul piano europeo. La Spagna, per esempio, ha mantenuto l’iscrizione degli avocat cancellati da noi. Si rischia di prestare il fianco a intenti strumentali».

Del resto, il dubbio che il diritto di stabilimento venga sfruttato per aggirare gli ostacoli l’aveva sollevato pure una rilevazione fatta dall’Ufficio Studi del Cnf nel 2014: dai dati emergeva come il 92 per cento degli avvocati stabiliti fosse, in realtà, di nazionalità italiana. «Non è semplice coordinare le risposte di Paesi che hanno normative diverse», dice Patrizia Corona, vicepresidente del Cnf e coordinatrice della commissione per i rapporti con i consigli distrettuali di disciplina e giurisdizionale: «Spesso gli interessi economici in gioco non incentivano la collaborazione. Il caso di Pavia dimostra che talvolta persino tra i nostri Consigli dell’Ordine ci possono essere difficoltà di comunicazione o possono saltare i controlli. A ogni modo, riscontrata l’irregolarità dell’iscrizione, si deve procedere alla cancellazione. Le pratiche come quella dell’Unbr “Bota” rappresentano un abuso del diritto».