Nei social network crescono le pagine “kidney for sale” che ospitano annunci da Libano, Siria, Turchia, Giordania, Marocco, Egitto. Con tanto di tariffario. Ecco come funziona l'ultima frontiera della tratta dell'orrore
Hamed racconta qualcosa di sé solo dopo esserci scambiati i numeri su WhatsApp. In Siria, il paese da cui è partito, insegnava inglese. Oggi ha 35 anni, si è rifugiato in Libano e con il solo lavoro di custode notturno, a Tarablus, non riesce a vivere. Su suggerimento di amici, su una pagina Facebook apposita ha lasciato un annuncio: «Dono il mio rene». Telefoniamo. «Non so come si facciano queste trattative» dice. Si affida a noi. È disposto a viaggiare anche in Italia se ci occupiamo delle pratiche: 3.000 dollari più le spese e ci vende uno dei suoi reni. «Di cosa sei malato?», chiede parlando della tempistica di invio delle prime analisi del sangue, «io sono sano, non fumo e non bevo». Alla fine della lunga chat, durata più giorni, riusciamo a fargli cambiare idea. Non venderà il suo rene, almeno per il momento.
Contattare Hamed è stato semplice: gli annunci sui social network come Twitter e Facebook sono l’ultima frontiera del traffico di organi. I modelli di commercio sono quattro: il mediatore recluta venditore, destinatario e medico; il destinatario trova medici e cliniche attraverso agenzie o centri all’estero che trattano chirurgia plastica e cure odontotecniche ma che hanno anche altri contatti; i reclutatori attirano persone con la falsa promessa di un lavoro ma una volta a destinazione le vittime sono costrette a vendere il rene.
E, appunto quello emergente, in cui destinatario e venditore si incontrano all’istante su forum, social network e dark web. Un fenomeno popolare dal 2010.
Su Twitter ci sono annunci pubblicitari colorati, disegni di reni e foto pubblicitarie di infermiere sorridenti. Su Facebook è famosa la pagina “Sell Kidney”, in cui compare un tariffario in arabo del prezzo dei reni in tutto il mondo. Ma anche “Kidney online” o “Kidney for sale”. Le pagine vengono chiuse, riaprono, migrano, cambiano nome. I numeri telefonici di chi lascia un annuncio o risponde agli altri sono attivati appositamente per lo scopo. I profili sono quasi sempre falsi. Le pagine da noi visitate risultano gestite da broker residenti in Turchia che lavorano ospitando annunci dal Maghreb fino ai paesi del Golfo. Altri invece sono iracheni. Contattati, hanno dichiarano di trattare solo clienti e operazioni nel proprio paese.
Nelle “Info” sui social lasciano un numero di telefono, poi pubblicano pochi post sotto i quali gli offerenti scrivono gruppo sanguigno e dichiarazione di intenti: “dono” il mio rene, vengo da Giordania, Libano, Egitto, Tunisia, Iraq, Turchia. Segue a volte una breve descrizione e il recapito telefonico. Sono centinaia coloro che offrono o cercano un organo on line. Giovani e anche donne. Alcuni lasciano involontariamente indizi di storie personali da cui si intuisce il dramma che stanno vivendo. Un uomo scrive da Berlino: è un rifugiato e ha bisogno di un rene per sua moglie: «C’è urgenza», scrive in arabo sotto il suo numero di telefono. Anche le lingue non sono un problema visto che gli utenti possono utilizzare le traduzioni istantanee fornite da Facebook e comunicare così tra loro. Secondo alcuni studiosi, il fenomeno delle compravendite on line ha indebolito il sistema di mediazione tradizionale ed esposto ancora di più i soggetti già vulnerabili.
Oltre ad aver contribuito alla nascita di micro-broker che spesso trattano con una sola clinica o hanno un solo intermediario perché in passato sono stati “donatori” loro stessi.
Questi nuovi trafficanti digitali non incontrano i loro clienti e la loro attività genera piccoli profitti per arrotondare, mantenere la famiglia, pagarsi beni e viaggi. Ma le tracce digitali aiutano gli investigatori. Per questo i broker tradizionali continuano a utilizzare i vecchi sistemi fatti di contatti e incontri ed evitano la rete. E in questo modo puntano sui grandi profitti.