Tor Sapienza è solo il caso più eclatante. La Capitale può contare molti quartieri ad alto rischio rivolta: Corcolle, Torre Angela, Settecamini e anche il centrale Esquilino solo per citarne alcuni

Bar illuminati fino a tardi, strade tirate a lucido, polizia in ogni angolo. Tor Sapienza, dai giorni della rivolta, ha cambiato volto. C'è vita anche dopo le 20 per le dirette televisive, l'Ama passa con regolarità a svuotare i cassonetti, le volanti presidiano le strade per scongiurare nuovi focolai di rivolta. Un altro quartiere, lontano da quel modello Roma Est che rischia di riempire la periferia orientale della Capitale di banlieu alla matriciana.

Già, perché Tor Sapienza non è un caso isolato. Lo scheletro che caratterizza le vie attorno a viale Morandi, teatro degli scontri, è identico ovunque nel raggio di 15 chilometri. Quartieri dormitorio, strade pattumiera, istituzioni assenti, servizi pietosi. E migranti, rifugiati, senza tetto, tutte micce che infiammano il malessere, per molti zavorra su una barca che già da sola rischia di affondare.

Abitanti esausti da un lato, stanchi di muoversi in terre di nessuno, e rifugiati che non sanno neanche dove si trovano dall'altro, barricati in uno dei tanti centri di accoglienza per richiedenti asilo, capri espiatori di un'insofferenza che monta, e che li vuole a braccetto con la delinquenza dilagante. Nel mezzo gli incappucciati, i violenti che a Tor Sapienza hanno innescato la guerriglia cavalcando una misura colma. Ma di vasi, colmi fino all'orlo e pronti a tracimare, la città è piena. Corcolle, Torre Angela, Settecamini, Ponte di Nona, tutte a est di Roma, tutte polveriere che ribollono da mesi. E che nessuno ha mai ascoltato.

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LE “MILLE” TOR SAPIENZA - “Ora basta, siamo stanchi di vivere così, vogliamo una città sicura, vogliamo servizi efficienti, quelli per cui paghiamo le tasse”. Eccola la periferia della capitale d'Italia, in corteo per il centro cittadino. Un tripudio di bandiere tricolore, senza simboli di partito, ma agitate da diversi esponenti della destra locale. L'inno di Mameli che rimbomba in testa al corteo. E i cori urlati contro il sindaco Ignazio Marino, e contro chi, dei margini della città, se ne è sempre lavato le mani.

L'insofferenza è ovunque nei paraggi del Grande Raccordo Anulare. Si aspettano autobus che non passano mai, appoggiati a pensiline sul ciglio di strade strapiene di rifiuti e senza luce, accanto alla prostituta di turno, unica a presidiare il territorio giorno e notte. E' una fotografia che si ripete. Ma quando a tessuti sociali esausti si sommano carichi umani di difficile gestione, la corda si spezza. E il quadrante est della periferia ne sa qualcosa. Qui al degrado infernale si sono aggiunti 1.300 richiedenti asilo distribuiti in 15 centri d’accoglienza, il 60% dei rifugiati accolti dalla Capitale. Insomma, a questo giro è toccato a Tor Sapienza, ma il copione è uguale per tutti.

CORCOLLE. E' andato in scena identico un mese fa, sul territorio di Corcolle, altra borgata romana all'estremità orientale della città. “Ci siamo ribellati perché siamo stanchi, sopportiamo di tutto, abbiamo lottato contro la discarica (Corcolle era tra i siti possibili per il post Malagrotta, ndr), ogni volta che fa due gocce di pioggia ci ritroviamo l'acqua in casa, perché le fogne non funzionano e nessuno pulisce i tombini. Non possiamo tollerare anche la violenza, non possiamo avere paura a uscire di casa”. Antonio era insieme ad altre centinaia di cittadini, in strada a inizio Ottobre, con striscioni, slogan e tanta rabbia.

A fare da detonatore le aggressioni a due autiste di un bus nell'arco di 24 ore. Rei dell'attacco un gruppo di stranieri, che ha preso d'assalto le vetture scagliando pietre contro le due donne. Poche ore dopo i cittadini hanno restituito il conto aggredendo altri immigrati. Poi il blocco del traffico, le forze dell'ordine schierate in tenuta antisommossa, e le tensioni tra gli stessi abitanti, tra chi non ci stava a farsi dare del razzista, smarcandosi subito “da certi gruppi violenti”, e chi invece si è rivoltato, anche qui, contro il solito centro di accoglienza. Una palazzina a due piani in via Novafeltria, con una quarantina di rifugiati politici. In prima linea con i cittadini a chiedere il trasferimento della struttura, Borghezio e vari esponenti della destra capitolina.

Il centro dopo un mese è ancora lì, ma i fatti di Tor Sapienza risvegliano i timori. All'interno non parla nessuno, gli ospiti sembrano tranquilli. Ma fuori c'è chi lo dice apertamente, anche se non abita in via Novafeltria. Faraji, 23 anni, del Congo, aspetta il bus in via Polense. Non ci dice dove vive, né cosa fa in città, articola a stento qualche parola di italiano, ma gli basta per commentare: “Amici me l'hanno raccontato. Sì ho paura, qui il nero è sempre male”.

PONTE DI NONA. “Quel che si sta facendo è scaricare o relegare centinaia di persone che non hanno niente, su territori che già sono in forte sofferenza. E' impensabile”. Franco Pirina, del Caop (Coordinamento Azioni Operative Ponte di Nona), abita a pochi metri dal centro commerciale Roma Est. Altro quadrante polveriera. Si sveglia la mattina con una colonna di fumo nero che si alza sul quartiere e lo avvolge giorno e notte. Proviene dal vicino campo rom di via di Salone, “fuori controllo anche per le forze dell'ordine”, dove rame e metalli rubati dai cavi dei lampioni, o dai binari delle ferrovie, vengono dati alle fiamme in fonderie abusive per ricavarne metallo da vendere al mercato nero. Così la diossina appesta il quartiere, le strade restano al buio, gli abitanti si indignano in piazza, nessuno interviene. E qualcuno, come Pirina e membri del Caop, organizza ronde di controllo sul territorio con auto anonime che pattugliano le vie residenziali, tra attacchi e critiche di chi invece, dai sopralluoghi fai da te, si è dissociato subito.

Anche a Ponte di Nona c'è un centro di accoglienza. Ha aperto lo scorso aprile, ospita 80 richiedenti asilo sbarcati a Lampedusa. Per qualcuno non è altro che un “parcheggio, dal quale molti fuggono finendo in strada senza niente da fare”, per altri “il problema non sono sicuramente loro”. Certo l'integrazione è un percorso a ostacoli. “Non è facile riuscire a instaurare dei rapporti con il territorio e con i suoi abitanti – ci spiega Davide, della Cooperativa ABC che gestisce il centro – tutta la zona è satura di situazioni molto tese, pronte a scoppiare. Quello che cerchiamo di fare è comunicare, informare le persone dell'esistenza di questa struttura, mostrare come funziona”. Resta l'ostilità. “Quando esco – racconta Adam, 20 anni, arrivato dal Mali - e magari chiedo informazioni le persone si girano dall'altra parte. Sì so cosa è successo a Tor Sapienza, non va bene. Non è giusto”.

SETTECAMINI. Ci sono poi quartieri dove i rifugiati non sono mai arrivati, perché i residenti hanno alzato le barricate. A Settecamini, sulla via Tiburtina, sei mesi fa, la mobilitazione è stata di massa. I cittadini si sono spinti fin sotto il Campidoglio a gridare che no, “il centro di accoglienza qui non lo vogliamo”. Doveva sorgere all'interno di un vecchio ospedale, una struttura affidata a una coop dopo anni di abbandono, pronta a ospitare centinaia di immigrati da Lampedusa. C'erano già letti e arredi. Ma gli abitanti, sfondato il muro di silenzio issato dal 'palazzo', hanno finito per ottenere una revoca dal Ministero. Anche qui Borghezio e Lega Nord, schierati accanto ai cittadini, non hanno rinunciato a mettere la firma su rabbia e rivolte.

“Ci siamo mossi perchè era giusto che in quel centro venisse fatto altro, volevamo una scuola, qui le scuole cadono a pezzi, gli interventi dei vigili del fuoco sono all'ordine del giorno. Non ci potevamo permettere altri stranieri, altre persone smollate qui dove già i servizi non ci sono”. Franco abita a Settecamini nuova e descrive il caos: “I rifiuti sono ovunque, è pieno di rom e senza tetto che rovistano nei cassonetti svuotandoli e lasciando i sacchetti sul marciapiede. Restano lì giorni, nessuno li raccoglie. La delinquenza è dappertutto, scippi per strada e sugli autobus, ragazzine che vengono importunate all'uscita di scuola. Secondo lei davvero potevamo permetterci un centro di accoglienza?”.

Insomma, i migranti a Settecamini non hanno mai messo piede, ma l'allerta resta alta, perché i locali sono rimasti vuoti, nessuno ci ha fatto la scuola, il presidio sanitario, il centro culturale, chiesti da chi era in piazza a protestare. I locali sono abbandonati, come l'intero quadrante. “Continuiamo a vigilare su quella struttura, potrebbe comunque portarceli da un momento all'altro, senza avvisare nessuno. Fanno così”.

TORRE ANGELA. Stesso identico film a Torre Angela, dove di centri di accoglienza ce ne sono già due. Il rapporto dei migranti col territorio? Difficile capirlo da loro, parlano pochissimo. Ma per gli abitanti il quartiere è saturo, e quelli presenti sono già abbastanza. A luglio la voce di altri 1.200 rifugiati in procinto di sbarcare in un vecchio centro commerciale, scatenò il putiferio. Prima il tam tam sui social network per chiamare al raduno i cittadini, poi le assemblee pubbliche di comitati e associazioni del territorio, i blocchi della via Casilina, tra le arterie più trafficate della Capitale. Poi la smentita.

Ma è bastato poco per infuocare animi già esasperati. “Qui si vive male, non c'è posto per nessuno, se potessi sarei la prima ad andarmene”. Francesca, 35 anni, “da donna”, ha paura a uscire di casa. “Le strade sono al buio, è come se ci fosse il coprifuoco, non ci sono luoghi dove portare i bambini, i parchi del quartiere sono latrine, dormitori per senza tetto che si accampano ovunque, non è razzismo, ma quando ho saputo che quella dei rifugiati era solo una voce, lo ammetto, ho tirato un sospiro di sollievo”.

E chiude commentando gli scontri di viale Morandi: “Davvero due notti di guerriglia urbana valgono più di anni di lettere, raccolta firme, proteste di ogni genere? Ha vinto la violenza?”. Se lo chiedono in tanti, e tanti la condannano quella rabbia furiosa e brutale. Ma altrettanti ammettono che è l'unico mezzo ad aver svegliato istituzioni sorde. E ora, tra dubbi e paure, si trovano a fare i conti con quello slogan, già urlato in piazza sabato: “Meno pazienza, più Tor Sapienza”. Valido non soltanto fuori le Mura.

NON SOLO PERIFERIA. Ci sono quartieri, centralissimi, che soffrono dello stesso abbandono, dove degrado e conflitti sociali sono piaghe quotidiane. L'Esquilino è l'esempio perfetto, la China town romana, il suk all'aperto più grande della Capitale, crocevia tra la periferia est e i beni archeologici più visitati del pianeta. Quartiere multietnico per eccellenza, qui le comunità cinese e bangladese, da tempo insediate sul territorio, ne hanno cambiato la morfologia. Anzi, per i più indignati il territorio "lo hanno fatto a pezzi", complice una politica che non ha mai tutelato i residenti storici.

Dalla distesa di bancarelle abusive di piazza Vittorio, ai negozi di merce all'ingrosso che hanno scalzato l'artigianato locale, dalle strutture ricettive abusive e vendita di prodotti contraffatti, alle strade invase da rifiuti, senza tetto che dormono e manifesti abusivi, c'è chi ne dà un quadro impietoso. "Pochi giorni fa ci sono state due mega risse davanti al teatro Ambra Jovinelli, ha sentito? Ormai sono all'ordine del giorno". A parlare è Augusto Caratelli, del Comitato Difesa Roma Caput Mundi, impegnato da tempo sul fronte decoro e riqualificazione del quadrante. "Non occorre andare troppo lontano dal centro. E' vero, la periferia è in condizioni criticissime, ma anche il centro è distrutto. All'Esquilino la microcriminalità è come quella di Tor Sapienza, ma siamo a pochi metri dal Colosseo. Scippi, rapine, spaccio di droga. Siamo a dei livelli fuori controllo".