Arriva dall’Argentina una variante della storia del docente alle prese con una classe difficile. Intrisa di giallo e di amore per il cinema

Ormai è quasi un sottogenere: il film sul professore giovane e idealista che affronta una classe difficile in un quartiere difficile. La classe deve crescere e così il professore. Cresceranno insieme imparando a conoscere, forse a combattere, un mondo terribile. Diffuso ovunque, questo doppio racconto di formazione è anche infallibile: provate voi a resistere a quelle facce, a quei sentimenti, al senso di scoperta reciproca che unisce docenti e allievi.Ultimo a cimentarsi in questo sottogenere duttile e fecondo è l’argentino Diego Lerman, talento ormai consolidato. Il suo supplente ha barba, occhiali e tutti gli attributi globalmente associati a onesti e progressisti. Separato, una figlia stralunata, una ex che ora sta con un’altra, ha anche un padre ingombrante, “il Cileno” (Alfredo Castro, leggenda del teatro e del cinema latinoamericani, presenza fissa nei film di Pablo Larrain). La figura di questo genitore ispido e combattente, che sta aprendo una mensa popolare in quel “barrio” di derelitti, fa da contrappunto ai rapporti difficili tra il supplente e i suoi allievi, ragazzi indifferenti ai testi di Borges proposti ingenuamente dal prof. Nonché capaci di dire, se lui per catturarli vira sul poliziesco: mio fratello è stato ucciso un anno fa, nessuno ha capito da chi, vale come giallo?

 

Se il sottogenere è diffuso, la qualità non è scontata. Qui siamo a livelli alti. Magari il film guadagnerebbe a risultare più “rubato” e meno scritto, Lerman però gioca a carte scoperte. L’identificazione con quel docente innamorato della letteratura come il regista del cinema, è totale. Anzi, vien voglia di prendere il film come una metafora del cinema. Come parlare a ragazzi che hanno ben altri problemi e ben altre possibilità di vedere immagini senza chiudersi in una sala buia? Come sedurli senza abdicare al rigore, come integrare i loro codici e i nostri? Oliato da una sottotrama gialla - il quartiere è tenuto in pugno da uno spacciatore che vuol passare per benefattore - “Il supplente” brilla nei dettagli: volti, sguardi, gesti, luoghi, in cui lampeggiano verità locali e universali. Il conflitto più interessante è quello che divide il supplente dal padre, vecchio combattente, più politico del figlio dunque più compromesso, ma sempre in nome di un fine superiore. Peccato che questa linea di frattura si fermi a livello sentimentale, anche se bisogna essere davvero molto disillusi per restare indifferenti.

 

Bellissimo il finale, torniamo a studiare l’anima, cioè il corpo, e forse capiremo qualcosa. Premio Cipputi, meritatissimo. Coproducono gli italiani Marta Donzelli e Gregorio Paonessa. L'Argentina è vicina.

 

IL SUPPLENTE
di Diego Lerman
Argentina-Italia, 110’

 

AZIONE!
Sergio Citti al Torino Film Festival. Era ora. Mentre il glorioso festival sabaudo si prepara al cambio della guardia, il direttore uscente Steve Della Casa prepara l’omaggio a uno dei registi più inclassificabili e geniali della nostra storia. Speriamo ci sia posto anche per Franco, cioè Accattone. Pasolini, e molti altri, ringraziano.

 

E STOP
Abbiamo verificato sul web. La Barbie “asiatica” c’è. Eppure il film di Greta Gerwig in Cina è stato un flop. Non sappiamo se è una buona o una cattiva notizia. Però, ecco, l’idea che i pronipotini di Mao, benché arricchiti e consumisti, non vadano matti per questa americanissima satira rosa confetto, non ci coglie proprio di sorpresa.