Un’altra coppia di ottimi registi per raccontare la demenza senile con leggerezza

Esistono ancora le cinematografie nazionali, come si diceva una volta? Certo che sì. Anche se tutto congiura per farci credere che l’audiovisivo ormai non ha frontiere, i film con un’anima quasi sempre hanno dietro culture, ovvero paesi precisi. Tra questi, strano a dirsi, in prima fila c’è il Belgio che, visto il rapporto fra numero di abitanti e bei film prodotti, dev’essere uno degli ultimi paradisi del cinema esistenti.

 

Solo due belgi infatti avrebbero potuto concepire un film come “La folle vita” con tanta grazia e profondità. Solo una coppia di veri autori, qui peraltro al primo “lungo”, poteva declinare con tanta leggerezza un tema pesante come la demenza senile senza perdere un grammo di serietà e di emozione, anzi. Solo un paese evidentemente ricco di teatri e talenti poteva mettere davanti all’obiettivo quattro attori mai visti ma sensazionali come Jo Deseure, la mamma gallerista d’arte che inizia a manifestare sintomi bizzarri proprio mentre suo figlio e la sua compagna, Alex e Noémie (Jean Le Peltier, Lucie Debay), hanno deciso di mettere in cantiere un bambino, cosa che metterà a dura prova la coppia malgrado l’aiuto di un disinvolto badante “in incognito” (Gilles Remiche).

 

Tutto inizia con l’acquisto di un nuovo materasso per la coppia (scena esilarante) e tutto poco a poco degenera mentre l’installazione “cosmica” esposta nella galleria di Suzanne (opera di Stéphanie Roland) diventa un’affascinante metafora in progress delle condizioni mentali della gallerista. Anche se, come dice un vecchio adagio, “a essere importante non è ciò che accade, ma quanto impariamo da ciò che accade”. E i due registi, Ann Sirot e Raphaël Balboni, sono bravissimi a registrare le reazioni di Alex e Noémie, il primo soprattutto, il più spaventato da ciò che succede alla madre, e la sua lenta accettazione del fenomeno, con un racconto strutturato in brevi scene staccate, spesso molto divertenti perché la spiritata Suzanne non si fa mancare i comportamenti e le rivelazioni più imbarazzanti.

 

Con uno stile visivamente inventivo che evoca a tratti quello di un’altra coppia di registi molto interessanti, gli argentini Cohn e Duprat (“Finale a sorpresa“). Arricchito da un’eccentricità squisitamente belga culminante nell’idea limpida e geniale di far invadere poco a poco tutti gli spazi della coppia dal motivo floreale delle lenzuola regalate in apertura dalla madre. Il tutto senza perdere di vista il tema centrale del film, cioè la nostra capacità di accettare e elaborare anche le prove più dure. Che un gioiello simile esca in bassa stagione la dice lunga sul nostro mercato. E forse anche sul perché da noi commedie così non se ne fanno.

 

LA FOLLE VITA
di Ann Sirot e Raphaël Balboni
Belgio, 97’

 

AZIONE!
Prima visione tv per “Il buco” di Michelangelo Frammartino, su Fuori Orario (Raitre) alle 00.30 di sabato 8 luglio. Un’occasione preziosa per chi non ha visto l’ultimo lavoro del geniale regista calabrese de “Le quattro volte”, seguito da una conversazione col medesimo. Arduo, esigente. E più noto e amato nel mondo che in Italia.

 

E STOP
Consigli non richiesti. La sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni, su “The Hollywood Reporter”, suggerisce alle registe di fare «anche commedie leggere, fregandosene dell’idea del devo fare un film super impegnato perché sono una donna, altrimenti pensano che non sia brava». Immediata la risposta piccata delle registe.