Su Discovery+ segreti e misteri della pornostar che è stata tutto e il suo contrario. E che si sedeva nei salotti televisivi con la stessa naturalezza con cui si toglieva i vestiti

C’è stato un tempo in cui la più erotica delle pornostar poteva attraversare sui tacchi la più tradizionale delle televisioni senza compromettere né se stessa né tantomeno quel piccolo schermo che da lì a breve avrebbe fatto della pornografia, quantomeno intellettuale, la sua anima più oscura.

Di Anna Moana Rosa Pozzi è stato detto e visto di tutto ben oltre i centosettantotto centimetri del suo immaginifico corpo. Eppure quella donna sobria, sobria nella sua perfetta oscenità, non ha mai smesso di suscitare curiosità e passioni sparse.

Così nel documentario in due parti (su Discovery+ e a settembre su Nove) diretto da Alessandro Galluzzi, Flavia Triggiani e Marina Loi, si prova ancora una volta a capire cosa davvero abbia significato “Essere Moana”.

A raccontarla, oltre a un repertorio non del tutto visto, sono in tanti, Vittorio Sgarbi, il marito Antonio Di Ciesco, Fulvio Abbate, Anselma Dell’Olio e poi critici cinematografici, televisivi, compagni di strada e pornoattori. E ognuno di loro porta in mano un piccolo tassello di un puzzle in cui niente sembra tornare ma che alla fine compone un quadro che fa venire voglia di essere guardato.

Perché Moana era tutto e il suo contrario, capace di rilasciare autografi a nonne e nipoti e al tempo stesso essere combattuta con furore dalle casalinghe indignate da quelle luci rosse che aleggiavano sulla sua persona. Lei, che riusciva a essere nuda, sempre, anche quando era vestita, che leggeva Moravia e Apollinaire e parlava quattro lingue, aveva attraversato le strade più diverse, tra un amplesso di scena e l’altro.

Moana e la politica, Moana e Cicciolina, Moana e Bettino Craxi, Moana che dà il voto ai suoi amanti, che fa un figlio facendolo passare per suo fratello, i servizi segreti, l’agenzia di Schicchi, praticamente Moana come Barbie, ma in versione Margot Robbie, bionda e avvolgente sì, ma consapevole di sé, indipendente, libera. In un’Italia schiacciata dal cupolone vaticano Moana Pozzi arrivò come un ciclone armata di rossetto e congiuntivo, pronta a sedersi nella notte di Gigi Marzullo, nel teatro Parioli di Costanzo, nel set con Rocco Siffredi. Sfrontata, elegante e naturalmente erotica, aveva studiato dalle suore e scambiava pensieri e opere con Mario Schifano.

E come Jessica Rabbit, che non era cattiva ma solo disegnata in quel modo, Moana era ben consapevole che «fare la pornostar non è una cosa che si può imparare». Nella sua totale solarità, i rossi, i bianchi, le scollature entusiasmanti, viveva il presente, l’oggi, il qui e subito perché non riusciva a immaginarsi un domani. «Vorrei non morire mai, vorrei essere eterna», diceva. E in qualche modo, a riguardarla nel documentario, in fondo ci è riuscita.

 

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