Al “Festival dei Due Mondi” di Spoleto interpreta la pianista Clara Haskil. “Un’anima speciale”, dice la modella francese. Che racconta il suo amore per la moda, il cinema, il palcoscenico. E per il nostro Paese

Un bel sospiro e via, si va. Dove? In scena al “Festival dei Due Mondi” di Spoleto con il monologo “Clara Haskil. Prélude et fugue”. A interpretarlo sarà Laetitia Casta. Sì, proprio lei, la modella francese amata anche in Italia che, a quanto pare, non teme le sfide, considerando la disinvoltura con la quale si muove tra moda, cinema, teatro. «Un po’ di emozione c’è, ma poi quando sono sul palco mi lascio andare...», ammette lei che ha già raccontato in Francia (con grande successo) la storia di Clara Haskil (1895-1960), pianista rumena dalle doti eccezionali, ebrea in fuga dal nazismo, artista alle prese con la malattia e con la paura di affrontare il pubblico fino alla fama raggiunta in tarda età. Scritto da Serge Kribus, firma la regia Safy Nebbou che aveva già diretto Casta in teatro qualche anno fa (“Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman). Lo spettacolo sarà al Teatro Caio Melisso Spazio Carla Fendi di Spoleto (30 giugno e 1° luglio, al pianoforte Isil Bengi).

 

Laetitia Casta, racconti di Clara Haskil: che cosa sapeva di lei?
«Nulla, in realtà. Ho scoperto la sua storia leggendo il testo di Kribus. Mi sono immersa nella lettura e subito mi sono entusiasmata all’idea di poterla interpretare sul palcoscenico. Ho cominciato a cercare tutto quello che è stato scritto su di lei. Non c’è molto in termini di biografia, esiste un documentario, qualche libro fotografico, ma niente di più. Quando lo spettacolo ha debuttato in Francia, era la prima volta che la sua vita veniva raccontata in teatro. È stata una vita difficile quella di Clara, ma ha qualcosa di universale e alla fine va verso la luce. Poter interpretare un personaggio così intenso per me è stato un regalo. Certo, se ci ripenso... Ho impiegato un anno per imparare a memoria la parte. In quel periodo ero anche incinta. La passione mi ha fatto dimenticare tutte le difficoltà. Questo lavoro mi chiama, come una voce dal cielo».

 

Che cosa l’ha conquistata di questa donna?
«Clara ha superato tante avversità: la guerra, la malattia... Una persona molto solitaria, un’anima speciale, sensibile. Ha un carattere difficile, certo, ma è anche un’artista che ha attraversato il mondo. Un personaggio molto interessante per l’epoca».

 

C’è qualcosa che l’accomuna a Clara?
«Anche se non ho vissuto la guerra né la malattia, ci sono cose che conosco bene: la lontananza dalla famiglia, la difficoltà nel dimostrare sempre di essere a livelli alti in un mondo di adulti. Questo l’ho vissuto sulla mia pelle. Ho iniziato la mia carriera quando ero molto giovane, avevo 14 anni, Clara 12».

 

A quell’età, scoperta per caso da un fotografo, come ha vissuto l’inizio della sua carriera? Era spaventata?
«Ho vissuto tutto con molta serenità. Ma ora che ho dei bambini posso fare il paragone con la mia vita, che allora mi sembrava normale, mentre normale non era. Lavoravo tanto, era un’esigenza dettata dal mio mestiere, come per Clara. Lei si mette in discussione, è piena di dubbi come artista; ed è una cosa positiva e negativa nello stesso tempo. Volevo affrontare anche questo aspetto della creazione, la dimensione mistica dell’incontro con il pubblico».

 

L’arte può essere un’ancora di salvezza?
«Noi artisti abbiamo questa fortuna: possiamo mettere da parte la realtà per un momento ed entrare in un mondo in cui connetterci con la gente. È uno degli aspetti più belli del mestiere. Il teatro o il cinema contribuiscono ad affrontare meglio la vita. A me ha aiutato come donna, mi ha fatto crescere e vibrare. Se non vibro come artista, non posso far vibrare il pubblico. E la storia di Clara mi ha davvero toccato il cuore».

 

In scena non c’è solo Clara, ma anche tutti i personaggi che lei incontra nella sua vita, compresi quelli maschili
«Sì, ma io entro più nella psicologia dei personaggi che Clara incontra in momenti diversi della sua vita: madre, nonna, zio, professori, amici».

 

Fra cui Charlie Chaplin.
«Sì, anche se nello spettacolo compare in un momento velocissimo».

 

Erano grandi amici, però.
«Negli ultimi anni di vita lo sono stati. Si sono conosciuti quando lei era già anziana, in Svizzera, dove vivevano entrambi. Lui aveva molta stima di lei, le ha chiesto di comporre delle musiche per lui, trascorrevano parecchie ore insieme».

 

La sua carriera è lunga e varia, che cosa le dà il teatro rispetto al cinema o alla moda?
«Io amo tutto, perché sono mondi diversi da esplorare. Mi piace essere libera. Con la moda sento meno pressione, perché la vivo con leggerezza e felicità. Il teatro è la disciplina in cui viene richiesta più energia, ma anche quella in cui me ne viene restituita di più».

 

Con quali registi italiani le piacerebbe lavorare?
«Ho appena finito di girare il film “Una storia nera” di Leonardo D’Agostini, tratto dal romanzo di Antonella Lattanzi. Amo il cinema italiano: Moretti, Garrone, Bellocchio sono grandi artisti. Questo è il cinema che mi piace e che mi fa sognare».

 

Ascolta molta musica?
«Sì, sempre. Amo Mozart, per esempio. Clara era una delle più grandi specialiste di Mozart. Ma ascolto diversi generi musicali, quando lavoro la musica è sempre lì».

 

E con la letteratura che rapporto ha?
«Mi piace molto leggere. Di recente ho comprato un libro sulla scultrice Germaine Richier, un altro sulla storia delle donne in fotografia e poi ho un’amica che mi ha regalato un libro di uno scrittore geniale: “Les éclats” di Bret Easton Ellis».

 

Autori italiani?
«Conosco poco la letteratura italiana, purtroppo».

 

Però conosce bene l’Italia.
«Ho un rapporto profondo con l’Italia. Le mie radici sono italiane. La mia bisnonna era toscana: mi piaceva, era libera, forte, generosa, aperta, con senso dell’umorismo. Era anche una donna di casa. E dopo la guerra si è trasferita in Corsica. Avevo 12 anni quando è morta, l’ho frequentata molto. L’Italia è sempre stata presente nella mia vita».

 

Ha avuto anche una lunga storia con Stefano Accorsi, padre di due dei suoi quattro figli.
«Certo. Anche se era più lui che veniva in Francia. Ma il mio rapporto con l’Italia è precedente, nasce dalla moda. In Italia mi sento a casa, più che a Parigi. Non mi sento tanto parigina, ma mediterranea, riguarda il mio modo di muovermi, è una cosa fisica».

 

Viviamo in un’epoca complicata, prima il Covid, poi la guerra in Ucraina. Che cosa le manca di più?
«Mi manca qualcuno che abbia una visione, una voce intelligente, una persona con grandi valori. Qualcuno che possa aiutarci e dire: “Attenzione, sta per accadere questa cosa”. Ora per capire la politica bisogna che ciascuno di noi si faccia un’idea da solo. In Francia non siamo lontani da voi politicamente, con Marine Le Pen. E mi dispiace. Ma credo nell’Europa, nella necessità di rimanere uniti, di comunicare, senza giudicare, e trovare una via d’uscita alla guerra».

 

Gli artisti possono fare la loro parte?
«Certo, hanno la loro maniera di parlare del mondo. Per esempio, il mio prossimo progetto a teatro sarà la messa in scena di “Una giornata particolare” di Ettore Scola, regia di Lilo Baur. In questa storia speciale si parla di omosessualità, guerra, nazismo. Tutto ciò mi interessa e mi piacerebbe portare in scena lo spettacolo anche in Italia».