Praticamente si parla solo di lui. Per i programmi che deve ereditare e per quelli che verranno. Quasi fosse l’unico nome su cui puntare in questo momento storico (e governativo)

Quando il ministro Valditara ha pensato di inserire la parola Merito nell’intitolare il suo dicastero della Pubblica Istruzione è venuto spontaneo arricciare naso e coscienza perché se c’è una cosa che deve proprio basarsi sul merito che sia la tv e non certo la scuola.

Ma in questi tempi strani si tende a mescolare le carte e dopo alcuni mesi di proteste a tutto campo contro la definizione (e i metodi, per amor di precisione), il leghista ha tenuto a precisare, in una recente intervista, che «merito» significa valorizzare i talenti di ciascuno, dare a ogni giovane la possibilità di affermare le proprie abilità, accendere la lampadina che ognuno ha dentro. E ha fatto bene a mettere puntini a caso sulle i, perché così dicendo si è capito un pochino di più quel che stava accadendo dalle parti di viale Mazzini. Bastava leggere il tutto al singolare ed ecco che quel giovane, quel talento quell’abilità nascosta della tv del merito si traduceva nell’unico studente meritorio della nostra televisione, ovvero, nomen omen, Pino Insegno. Come una sorta di Gran Mogol che tutto sovrintende, il suo nome aleggia giorno dopo giorno con più forza e, a onor del vero, suo malgrado, appoggiandosi come aggettivo (Bello qui, molto Pino Insegno), avverbio (Facciamo presto, facciamo Pino Insegno), e apparizione immanente. Ho visto Pino Insegno. Arriverà Pino Insegno. Deve andare ovviamente nelle mani di Pino Insegno. Ormai all’appello manca solo la trasformazione in moneta corrente, ma quando il canone costerà tre Pini Insegni da togliere direttamente nella bolletta il cerchio sarà completato

Se c’è un programma vacante, un palinsesto da riempire o una conduzione da affidare, sembra che non esista nessuna alternativa possibile oltre Pino Insegno. E pazienza gli ascolti, la fedeltà, l’affezione del pubblico, gli introiti pubblicitari, quelli son dettagli, poi si vedrà. L’importante è che l’Eredità, nei giorni in cui l’eredita (minuscolo) di Silvio Berlusconi tiene banco, venga riscossa da chi se lo merita a prescindere. Così al nostro si riconoscono fogge da supereroe e il dono dell’ubiquità visto che all’egregio doppiatore si vorrebbero affidare trasmissioni multi canale, un po’ Rai Uno, un po’ Rai Due e ritorno, come un Monopoli che ripassa dal via senza sosta. Mentre lui, affaticato e guardingo, probabilmente si aggira per le strade come Bob De Niro in “Taxi Driver”, guardando al piccolo schermo come fosse lo specchio del celebre «Che dici a me?». O tutt’al più come un qualunque studente ansioso alla vigilia degli orali di maturità che incombono senza scampo. Perché si sa, il merito ha il suo peso. E lui, modestamente, lo porta.

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DA GUARDARE
Anche le cose belle prima o poi finiscono. E con la quarta stagione ci tocca salutare Devi, irresistibile protagonista di “Non ho mai” (Netflix), tenera, folle, irresistibile serie su quell’età devastante altrimenti detta adolescenza. Dove si lascia la scuola, la verginità e il terreno friabile sotto i piedi. Per cominciare a volare altissimo.

MA ANCHE NO
La piattaforma Mediamonitor ha pensato di registrare ogni menzione a Silvio Berlusconi su radio e tv da lunedì 12, giorno della sua morte per quattro giorni. E ha scoperto che il nome dell’ex Cavaliere è stato pronunciato con una media di una volta ogni 2 minuti e mezzo (notte inclusa). Tipo il Barone Lamberto di Rodari.