Dare tutta la colpa delle calamità al clima cela le responsabilità umane. Nell’inadeguatezza della politica

Sfido chiunque a capire cosa sia davvero successo in Romagna. L’alluvione è colpa del clima impazzito, delle amministrazioni di sinistra, di quelle di destra? Stando ai media queste sono le piste principali, anche perché sono le più semplici da seguire nei casi di emergenza in cui l’emotività prevale sulla narrazione. Il giornalismo è sempre più frenetico e schierato, la tragedia viene spolpata di volta in volta con fame cannibale e poi arriva un’altra tragedia ancora più grande, su cui il predatore mediatico concentra la sua attenzione bulimica.

 

Sono sopravvissuto per miracolo all’alluvione di Livorno del 2017 e quando vedo le immagini della Romagna rivivo le stesse emozioni di allora. Così come mi è successo con l’alluvione di Ischia (12 morti nel 2022), con quella delle Marche (12 morti nel 2022) o con quella del Palermitano (10 morti nel 2018) e così via a ritmo di una volta l’anno circa.

 

Lo schema è sempre lo stesso: titoloni dei giornali e dirette tv, interviste ad anziani e gente che piange, romanticizzazione degli angeli del fango, conta dei danni e richiamo alla solidarietà con collette ed eventi di raccolta fondi in cui i cittadini mettono mano al portafoglio, quando ci sono miliardi di euro stanziati e mai utilizzati che la politica non ha saputo gestire. Per carità, guai ad arginare la solidarietà, ma a che serve allora lo Stato?

 

Dal climatologo al politico, si sono sentite le tesi più disparate. Non criticherei Achille Occhetto per aver dichiarato a “In Onda” che l’alluvione è una punizione divina, piuttosto per aver detto che la colpa non può essere di «due fili d’erba» sul letto dei fiumi. Non sono due fili d’erba, ma tronchi e detriti che uniti alla potenza dell’acqua diventano devastanti. La prevenzione degli alvei non viene fatta, lo dicono tutti gli esperti.

 

Sui giornali le spiegazioni razionali ci sono, ma non fanno il botto di clic. Non bastassero gli articoli de L’Espresso sul tema, Alessandro Barbera su La Stampa scrive: «Il 93 per cento del territorio è a rischio. Ventimila chilometri di fiumi tombati (...) competenze frammentate, fondi disponibili e inutilizzati, una scarsa cultura della prevenzione». Evidentemente è noioso. Più facile dare spazio alle fake news di Red Ronnie, che vede complotti aerei di non si sa chi e scambia il volo di ricognizione del Giro d’Italia per un piano demoniaco studiato a tavolino.

 

Col cambiamento climatico come unico colpevole, ogni altro dato è svilito, eppure in Romagna mancano le casse di espansione per i fiumi, che già in Veneto furono fondamentali. «Nel 2018, la tempesta Vaia fece precipitare 715 millimetri di pioggia in 70 ore. I danni ci furono, ma non paragonabili a quelli visti in Romagna. Dove di acqua, sebbene concentrata in 24 ore, ne è caduta poco meno della metà: 300 millimetri» (Corriere della Sera).

 

Non sono un climatologo, non sono un esperto, non sono un politico, ma da cittadino so una cosa: è già successo e continuerà a succedere e quando arriverà il momento sarò solo ad affrontarlo. La vera ferita qual è? Campi coltivabili inutilizzabili per anni, miliardi di euro di danni e quelli stanziabili per sanarli, i piani per il dissesto che ogni governo istituisce e il governo successivo disfa, il rischio che le assicurazioni non paghino. È un disastro e ognuno si salverà da solo. Questo è lo scandalo. Sarà meglio che vi creiate un piccolo kit di sopravvivenza in casa, quello prima o poi servirà.