Un libro, la raccolta di racconti “Ansia da felicità”. Il concerto-omaggio a De André nella sua casa, in Sardegna, per il festival Time in Jazz. Il mito di Ella Fitzgerald. La cantautrice si racconta e della possibile co-conduzione del Festival di Sanremo dice: “Ho fatto musical, televisione, dischi. Potrei essere una buona candidata. Parlo anche le lingue”

Un libro, cento progetti, la candidatura alla co-conduzione del prossimo Festival di Sanremo e un concerto in un posto davvero speciale. È andato sold out in due giorni il live di Malika Ayane il 9 agosto a L’Agnata, a Tempio Pausania in Sardegna, che oggi è un boutique hotel ma un tempo è stato il buen retiro di Fabrizio De André. Per tanti anni. La cantautrice, il cui album più recente è “Malifesto”, sarà la protagonista della data clou del festival Time in Jazz (8-16 agosto), ideato da Paolo Fresu. Una rassegna quest’anno particolarmente ricca. E aggiungerà la sua firma a quella di tanti artisti che hanno reso omaggio al grande cantautore genovese nella sua dimora: tra gli altri Gian Maria Testa, Ornella Vanoni, Morgan, Tosca. Lo stesso giorno la cantautrice presenterà il suo libro, la raccolta di racconti “Ansia da felicità” (Rizzoli), a Berchidda, in Gallura.

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Malika Ayane, con quale spirito affronta questo appuntamento?
«Anzitutto con gratitudine verso Paolo Fresu, che mi ha affidato un concerto così importante e mi dato una fiducia pazzesca. Quando ero adolescente ascoltavo i dischi di De André, è stata la mia educazione musicale. All’epoca si facevano le cassettine, ne ricevetti una che apriva con “Il suonatore Jones”, restai subito colpita. Mi ricordo che De André era appena mancato, qualche anno prima era uscito l’album “Anime salve”, in cui c’è un brano che si intitola “Disamistade”. Lì ho capito la grandiosità di De André, quell’album è pieno di dettagli che fanno la differenza. Mi sono messa a studiare quello che aveva fatto prima, ho scoperto la scrittura musicale della forma canzone. Quel disco è un'opera d'arte. Il mio concerto nella sua casa è quasi una questione liturgica».

C’è una canzone di De André che ha segnato il suo percorso?
«Ce ne sono tante. È come chiedere quale canzone preferisci di Steve Wonder. È un autore estremamente complesso. Se ascolti un brano come “E fu la notte”, può essere la cosa più sentimentale e al tempo stesso la cosa più violenta. O se pensi a “Se ti tagliassero a pezzetti”, capisci che stai dando la biada almeno sei generazioni».

Il jazz è il suo grande amore insieme alla musica classica. Si è formata al conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, al violoncello. Poi nel coro delle voci bianche del Teatro alla Scala. Tra le grandi cantanti della musica afroamericana a chi si sente più vicina? Billie Holiday, Ella Fitzgerald o Nina Simone?
«Un ibrido fra tutte e tre. Billie per me è una specie di divinità, aveva un lato oscuro che alla fine l’ha divorata, per quanto vogliamo essere romantici. Nina Simone ha lottato tanto per tutta la vita, la sua forza le ha permesso di durare. Ella Fitzgerald invece è una delle poche artiste musicali a non essere finita male. Vorrei avere un briciolo della sua modernità stilistica».

A proposito di Sanremo torniamo al 2010, lei al centro di una clamorosa protesta degli orchestrali contro la sua esclusione. Cosa ricorda di quell’episodio?
«La telefonata di mia madre che mi dice: “Anche stavolta sei riuscita a metterti nei guai” (ride). Ricordo un'adrenalina incredibile, era il mio secondo Sanremo, la protesta dell’orchestra era totalmente inaspettata».

Oggi si parla di lei come possibile co-conduttrice insieme ad Amadeus. Cosa c’è di vero?
«Non è un’ipotesi. In una intervista mi hanno chiesto se mi avrebbe fatto piacere condurre il Festival di Sanremo: ho risposto che solo un'oca direbbe di no. Ho fatto musical, televisione, dischi. Insomma, potrei essere una buona candidata. Parlo anche le lingue».

Durante e dopo l’ultima edizione del Festival di Sanremo, malgrado gli ascolti record Amadeus è stato attaccato dalla destra. Per il bacio tra Fedez e Rosa Chemical, il calcio di Blanco, le esternazioni troppo schierate. Cosa ne pensa?
«Ultimamente parliamo tutti troppo. Viviamo nell'era del lancio dell'opinione senza sostanza. La polemica è sempre esistita, anzi crea evoluzione, ma oggi riempiamo troppi spazi con il nulla e questo mi deprime un po’. Detto questo una cosa è certa: Amadeus negli anni ha preso in mano il Festival ed è riuscito - dico una banalità - a renderlo appetibile per tanti tipi di pubblico. Che so, ha portato i fan di Lazza a conoscere I cugini di campagna e viceversa. Non è una cosa da poco».

A proposito di diversità, suo padre è marocchino, sua madre italiana. C’è razzismo nel mondo della musica?
«Non saprei. Non ho mai provato nulla del genere sulla mia pelle, anche perché sono talmente milanese…Mi dicono che per cinque minuti al giorno si vede che vengo da viale Ungheria, quando non riesco più a controllare la “ruspanza” e tutta la mia aplomb da signorina del centro viene smascherata. Su questo argomento tuttavia voglio dire una cosa, anche se la mia esperienza tutto sommato non è così importante. In ogni caso ho la fortuna di essere figlia di due culture: avendo una madre italiana, non ho mai avuto problemi di documenti, ma invece vedo che a Milano, ma anche nelle altre grandi città credo, è piena di italiani che non vengono considerati tali. Questo è un problema che va risolto, è urgente, non si può continuare a crescere generazioni che si sentono escluse».