La poesia di Alice, il timbro di Giuni Russo. L’elemento femminile irrompe nel mondo del musicista. Un libro rievoca gli anni d’oro della canzone d’autore, da Dalla a De André

Maggio 1981
Le donne erano entrate in modo prorompente nella vita artistica di Battiato, che amava le voci femminili ed era talmente bravo a esaltarle da indurre il sospetto che fosse una sorta di proiezione, o sublimazione, o meglio ancora, la maniera più prossima al raggiungimento della perfezione, all’unione sacra tra il maschile e il femminile. Cosa c’era di meglio delle canzoni, per uno che le sapeva comporre così bene, per raggiungere un obiettivo così alto? Era una geometria esistenziale perfettamente simmetrica: la sua parte femminile la affidava a voci di donna che adorava e che poteva aiutare a spingere in alto, verso la bellezza.

 

Se invece si pensava al rapporto in termini sessuali, sul tema era discreto, ma non perché voleva nascondere la sua vita privata al mondo; piuttosto, era come se quell’aspetto della sua esistenza fosse relegato ai margini. È una sfera di cui non ha mai parlato, tranne rarissimi accenni, in questo simile al suo amico Lucio Dalla. Ma se Lucio dava l’impressione di una forte, costante, benché segreta, attività sessuale, Franco sfuggiva a ogni definizione possibile.

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«Sesso o castità?», gli chiese a bruciapelo Giancarlo Dotto in un’intervista per “La Stampa”.

 

«La castità è fantastica. Ogni volta che sono coinvolto in un progetto artistico, le mie energie sessuali si trasformano in atto creativo. Non sono disponibile ad altro che a questo». Sublimazione permanente.

 

«So di questi politici, poveretti, che s’imbottiscono di Viagra. Non avere pulsioni sessuali è una fortuna, pagherei per questo. La vera prigionia è quando sei schiavo dei tuoi sensi».

 

«Lei è un uomo fortunato?».

 

«Purtroppo no, devo farci ancora i conti con la pulsione sessuale, ma non vedo l’ora che arrivi la pace dei sensi. È bello conoscere le pene e i piaceri dell’amore, una, due, tre volte, poi basta. Nell’innamoramento ci si annulla nell’altro. Se non sei equilibrato arriva il dolore, e quindi il massacro».

 

Altrove lascia trapelare qualcosa, accenna a due o tre fidanzate nel passato, ma sembrano poca cosa, non certo passioni travolgenti. Insomma il sesso, più che da nascondere, risulta quasi un ingombro, un problema di cui liberarsi gradualmente in favore di un’ideale vita ascetica, una vita che potesse fare a meno di quelle pulsioni, oppure fonderle col tutto, e a pensarci bene è esattamente la chiave che ci permette di comprendere fino in fondo le sue canzoni.

 

Una sera, a proposito di donne, grazie a una cena combinata da Alberto Radius, questa volta a casa di Giusto Pio, Franco scoprì Giuni Russo.

 

La scopre, letteralmente, perché Radius è talmente convinto che chiede a Giuni Russo di esibirsi lì, seduta stante. Lei accetta, si mette a cantare e Battiato sgrana gli occhi per la sorpresa.

 

«Mi colpì la sua voce straordinaria, la vitalità con cui cantava, la sua potenza musicale che andava di pari passo con la sensibilità musicale… Un binomio difficile perché quando hai una voce potente di solito sei anche un po’ grossolano. Ma lei era in grado di unirvi le nuances più raffinate».

 

Di Giuni Russo lo attrae la tecnica sbalorditiva. Di Alice il timbro, il temperamento, l’implicita poesia. Due modi di proiettare fuori di sé la parte femminile, e fare l’amore con astratte prospettive spirituali. E quindi decide di dividersi equamente. Tra aprile e maggio produce l’album di Alice, a maggio attacca quello di Giuni Russo intitolato “Energie”, che inizia con “Lettera al governatore della Libia” e finisce con “Tappeto volante”.

 

Uscì in ottobre e per Giuni fu il disco del riscatto.

 

*Questo testo è tratto dal libro “Il cielo bruciava di stelle” di Gino Castaldo (Mondadori, pp. 336, € 20)