Un contadino miserabile, una donna zoppicante e un’unione testarda in una Cina. Che riguarda anche noi

Se qualcuno è ancora interessato alle radici dell’albero su cui siamo comodamente seduti, oltre che a sbocconcellarne i frutti, dia un’occhiata a questo film girato sugli altopiani del Gansu, una delle province più povere della Cina, ai confini con la Mongolia. Scoprirà tutta la durezza - talvolta la bellezza - che si può nascondere dietro una pratica medievale ma tutt’altro che in disuso come il matrimonio combinato. Imparerà come costruire una casa usando solo le mani, i piedi e un somaro (con i piedi si impasta l’argilla, l’animale issa la stuoia che farà da tetto poggiata su uno strato di bottiglie isolanti).

Infine scoprirà che un contadino miserabile e una povera donna zoppicante e incontinente, sposati quasi a forza dalle rispettive famiglie, possono votarsi all’amore più tenero e testardo.

Contro ogni aspettativa dei compaesani, troppo intenti ad arricchirsi come vuole il presidente Xi Jinping, o almeno a provarci.

Dunque a sfruttare senza vergogna quel bifolco che preferisce il duro lavoro alle scorciatoie della modernità. Ma proprio per questo saprà vedere la bellezza di quella moglie “di scarto”, rivelandole a sua volta la propria. Come in una ballata di Fabrizio De Andrè, o se preferite di Georges Brassens.

Arricchita da un rispetto quasi panteistico per la Natura, e da una riflessione quotidiana e insieme filosofica sulla medesima, che non sanno di ecologismo ma di antica sapienza.

Una sapienza familiare al regista Li Ruijun, classe 1983, originario proprio del Gansu, ma non molto in linea con le direttive del Partito comunista cinese. Che malgrado il successo in patria di questo film presentato a Berlino, dopo aver imposto un finale consolatorio e una data d’uscita sfavorevole, lo ha fatto semplicemente sparire da grandi e piccoli schermi. Troppo dura la vita in quel paesino. Troppo ostinato il personaggio principale (nella realtà uno zio del regista, Wu Renlin, mentre la moglie, Hai Qing, è una famosa attrice). Troppo sfacciato il suo rifiutare l’appartamento in città offertogli dalle autorità per propagandare il nuovo modello di sviluppo, e ringraziarlo della sua apparente devozione (portatore di un raro gruppo sanguigno, il contadino dona regolarmente il sangue al signore locale malato).

Premiato nel 2022 al Far East Film Festival di Udine (la prossima edizione inizia il 21 aprile), distribuito dalla benemerita Tucker, specializzata in cinema asiatico, “Terra e polvere” ha un altro dono oggi raro. Sa far parlare le cose, gli animali, i gesti più comuni e dimenticati, restituendo peso e storia a una cultura materiale sempre più evanescente. Così lontani, così vicini, il Gansu - e il suo censurato regista - riguardano anche noi.

 

Terra e polvere
di Li Ruijun
Cina, 133'
3 stelle e ½

 

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AZIONE! E STOP

 

Sesso, violenza, razzismo, giustizia. Senza censura. Dove? A Hollywood prima del 1934 e del famigerato Hays Code, il codice di autoregolamentazione delle Majors. È il tema dell’elettrica, fluviale retrospettiva in corso al PalaExpo di Roma. In un Paese più civile (e libertario) sarebbe replicata in molte altre città. Ma non si può avere tutto.

 

Tarantino non ripete. Dopo “Cinema Speculation” (La Nave di Teseo), spericolato tuffo tra le passioni pulp del regista, dilagano le voci sul suo prossimo film, “The Movie Critic”, forse ispirato alla penna del New Yorker Pauline Kael. Sarà anche l’ultimo, parola di Quentin. Dobbiamo prenderlo sul serio? Speriamo (e scommettiamo) di no.