«Con il cast siamo diventati amici, mi chiedono consigli quasi fossi una sorella maggiore». L’attrice romana, che veste i panni di Gabriella Ferri per il docufilm su Sky Arte, torna come direttrice del carcere minorile di Napoli nella serie cult. «Corinna era una donna orrenda da non frequentare, Paola Vinci invece è pronta a rimettersi in discussione»

Trascorsi un po’ di anni da “Notte prima degli esami – Oggi”, il film che l’ha fatta conoscere al grande pubblico, per Carolina Crescentini gli esami sono finiti. Appena rientrata da Sanremo, dove ha promosso la terza stagione della serie “Mare fuori”, la bionda attrice romana dall’animo profondamente rock ‘n’ roll (è sposata con un cantautore di spessore, Francesco Motta) passa da un ruolo all’altro. Cambiando sempre registro.

C’è un personaggio fortunato che si porta dietro. E a cui vuole molto bene. È la Corinna Negri di Boris, serie di culto che nasce da una congiunzione astrale di attori e autori. Ce la racconta?
«Il provino per la puntata pilota risale al 2006, quando studiavo al Centro Sperimentale di Cinematografia: avevo di fronte Luca Vendruscolo, sceneggiatore e regista e, come spalla, Massimo De Lorenzo. Già allora mi sembrò tutto divertente. Un progetto nato con il piede giusto. Tempi comici perfetti, colpi di scena, cinismo brutale. Un documentario sopra le righe, molto realistico. “Boris” è un’esperienza che mi ha accompagnata per un pezzo di vita e mi auguro ci sia una quinta serie. Mattia Torre (brillante co-sceneggiatore della serie, prematuramente scomparso nel 2019, ndr) mi ha insegnato che con l’ironia feroce e intelligente puoi dire qualsiasi cosa. Corinna è ormai una sorta di alter ego per me: una donna orrenda, incapace di recitare, che costringe gli altri a lavorare male, un po’ scema – anche se con il tempo migliora – disposta a tutto pur di raggiungere i suoi obbiettivi, da non frequentare. E di persone come lei ne ho incontrate davvero».

“Non rassegnatevi al brutto” è il messaggio forte e attualissimo di Boris. Che cos’è brutto per lei?
«Il brutto è la volgarità, l’assenza di apertura mentale, i limiti che ciascuno di noi si pone. La passione per i viaggi da un capo all’altro del mondo mi ha permesso di conoscere altre culture, altre realtà. Ma le mie sono fughe temporanee. Poi torno sempre a casa. La cosa che invece mi preoccupa è l’aggressività imperante, la violenza di pensiero».

Per lei casa significa Roma, Trastevere. È una coincidenza che sia stata chiamata a interpretare Gabriella Ferri nel docufilm in uscita su Sky Arte?
«A parte la romanità che ci accomuna, umanamente siamo due donne empatiche, educate alla libertà, che amano mescolarsi fra la gente, ascoltare storie. Trastevere è il mio villaggetto: se devono dirmi qualcosa, me la dicono in faccia. La passeggiata mattutina nei vicoli del quartiere non la batte nessuno: luce, odori, sapori, artisti di strada. Un melting pot che coinvolge i cinque sensi. Mi sembra ancora di sentire la risata rumorosa e contagiosa di Gabriella, tipica delle donne di Roma. Da sempre studio le sue movenze, il suo modo di abbigliarsi e di truccarsi, la parlata. E, più vado avanti nella ricerca, più aggiungo tasselli al puzzle»

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Lei è testimonial dell’Agenzia Onu per i rifugiati. Come nasce questo impegno nel sociale?
«Tutto è iniziato nel 2016, con una miniserie firmata da Marco Pontecorvo, “Lampedusa”. Dall’orizzonte in poi, che raccontava l’accoglienza dei migranti. Viola, il personaggio da me interpretato, era la direttrice del centro. L’impatto con l’isola è stato fortissimo. Oggi portiamo avanti altre situazioni di emergenza come la guerra in Ucraina: in un primo tempo abbiamo raccolto fondi per assicurare la continuità dell’istruzione a bambini e ragazzi ma adesso è la sopravvivenza delle persone il vero problema. Servono generatori di corrente e teli per coprire le macerie».

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Prossimi impegni sul set?
«Prima dell’estate, il ritorno de “I bastardi di Pizzofalcone” (dove interpreta Laura Piras, magistrata indurita da un trauma, ndr) e una commedia diretta da Lillo Petrolo, che affronta la piaga del bullismo. Per adesso mi vedrete ancora una volta nei panni di Paola Vinci, direttrice del carcere minorile di Napoli (dal 15 febbraio al 22 marzo su Rai2 e in streaming su RaiPlay, ndr). Come tipologia di donne, siamo lontane mille miglia. Paola approda a questo incarico con un bagaglio di nozioni e zero esperienza. Tutta regole e disciplina. La vita in comune di chi sta in galera per reati e di chi in galera ci lavora, aiuta a crescere, ad affrontare le situazioni. Perdersi negli occhi di questo gruppo di ragazzi e ragazze porta Paola a rimettersi in discussione. Nel progetto “Mare Fuori” il pubblico ci ha sostenuto in maniera sorprendente. Con il cast siamo diventati amici, mi chiedono consigli quasi fossi una sorella maggiore. Insomma, è nata una vera squadra. Come quella di Boris»